lunedì 27 settembre 2010

IL SONNO AL POTERE

di Silvia Truzzi

Sergio Marchionne ha recentemente illuminato il pubblico sui motivi che legittimano la sua retribuzione di 435 volte superiore a un operaio Fiat: lavora 18 ore al giorno, vive tra un aereo e l’altro, non è mai a casa, fuma ottanta sigarette al giorno (sarà per questo che negli ultimi anni ha comprato più azioni di Philip morris che di Fiat?). E, naturalmente, dorme due ore a notte.

Ci sarebbero molte riflessioni da fare a proposito di sperequazioni ed esasperazione delle disuguaglianze all’interno di un’azienda. Ma prendiamo un solo aspetto, assai di moda: dormire poco per produrre molto. È uno degli slogan preferiti del premier che ama fare proclami sul segreto delle sue notti. Un paio d’anni fa fu invitato alla festa del nipote (!) di un amico costruttore, in una discoteca milanese. Per i ventenni presenti diverse massime da segnare sul taccuino: “Fondate aziende, non lavorate per altri, abbiate coraggio di scommettere su voi stessi”. E poi la ricetta del successo: “Se dormo tre ore, poi ho ancora energia per fare l'amore per altre tre” (per i particolari, cfr Patrizia D’Addario). Uscì dal locale alle sei, annunciando, non senza una certa soddisfazione, che un’ora dopo si sarebbe messo a lavorare.

Supereroi? Qualche dubbio sorge. L’equazione assenza di sonno-successo è un veleno pericoloso.

D’accordo, non c’è una regola. Dicono i medici che gli insonni sani esistono: gente che dorme tre-quattro ore e se la cava alla grande. Si citano sempre Napoleone e Winston Churchill: beati loro. Il guaio è quando sei un “dormitore normale” ma non puoi riposare perché sottrai tempo al resto. Quale resto? Il lavoro, in primis.

Le tecnologie che ci avrebbero dovuto aiutare, sostenere, salvare sono spesso una grande fregatura. Perché se ti arriva una mail sul blackberry a mezzanotte non solo chi l’ha spedita si aspetta che tu risponda, ma anche tu schiacci “rispondi” e ti metti a scrivere.

Dove nasce il riflesso condizionato che annulla la distinzione tra tempo privato e tempo professionale? Dall’ansia di arrivare, (di)mostrarsi competitivi, non perdere terreno. E poi c’è il capitolo famiglia: chi dice di dormire come un bimbo, di solito di bimbi non ne ha. Però questo sonno sottratto a beneficio di bebè affamati o ammalati almeno è tempo ben speso, anche se l’amore non cancella la fatica. Siccome le ore restano 24 e sarebbe auspicabile non eliminare gli affetti primari dalla vita, si può cominciare a combattere il “lavorare sempre, lavorare dappertutto”.

È una battaglia che deve diventare collettiva, altrimenti non avrà effetti. Però ci sono contromisure che si possono attivare anche singolarmente.

Spegnere il cellulare, o non rispondere alle telefonate di lavoro fuori dall’ufficio (almeno non di notte). Ricordarsi che la vita interiore va curata: libri, film, amici, amori, genitori, fratelli sono necessari. Come il sonno, durante il quale il cervello smette di ricevere dall’esterno centomila input all’ora, gira a velocità che evitano il frontale e finalmente fa ciò che vuole. Per esempio, sogna. Ma forse è un’attività trascurabile per i manager con il maglioncino: l’inconscio è inutile.

s.truzzi@ilfattoquotidiano.it

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