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di Furio Colombo
La frase è questa: “Lo so che poi tocca a me. Non è che mi faccio illusioni. Dico solo che qui siamo soli. Io vado avanti. Faccio il mio lavoro ma lo so che ogni giorno può succedere. Qui è così”. Voce di uomo, appena un po’ stanca, ma senza costernazione e senza lamento. È una mattina di settembre (mercoledì 22) , è un programma giornalistico quotidiano della radio di stato italiana (“Tutta la città ne parla”, Radio Tre 3, ore 10, conduce Giorgio Zanchini). La voce appena un poco stanca l’ho ascoltata dal luogo in cui una donna, Teresa Bonocore, era stata assassinata due giorni prima per aver denunciato e fatto condannare l’uomo che ha stuprato la sua bambina (e un’altra bambina) di otto anni. Colpevole o no, qui come nella vita politica della capitale, non importa il delitto, ma chi ti fiancheggia e chi ti protegge. E così Teresa Bonocore è stata uccisa da due ragazzi ventenni dietro compenso di cinquemila euro e la promessa di un posto di lavoro. Pochi giorni prima era stato ucciso il sindaco di Pollica (periferia di Salerno), Angelo Vassallo. Era solo, nove di sera, tornava a casa. La voce appena un po’ stanca che riflette su questi delitti con il giornalista Zanchini è di Vincenzo Cuomo, sindaco di Portici, il borgo napoletano di Teresa Bonocore. Il sindaco parla alla radio di Stato della sua possibile uccisione, oggi, in Italia. E per quanto la trasmissione che diffonde quella voce sia unica per precisione e coraggio, non c’è, né sul momento né dopo, alcuna reazione o conseguenza o emozione o commento. Non so: un vescovo, un sociologo, la firma di un giornale, i cittadini.
Il caso Cosentino
C’È PERÒ una coincidenza. Quella stessa mattina la Camera dei deputati ha dovuto votare se permettere ai giudici di utilizzare le intercettazioni di un politico di rilievo, l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, tuttora coordinatore del partito di governo (PDL) per la Campania, ovvero della regione di Pollica, di Portici, del sindaco ucciso e di quello che parla della sua possibile uccisione. E' la regione di Teresa Bonocore e del ben difeso stupratore di bambini, che però – si capisce – nella vita ha ben altri impegni. C’è esagerazione in queste righe? No, direi che c’è una triste pedanteria. Perché quelle intercettazioni richieste come prova processuale riguardavano l’accusa e l' arresto di un deputato potente per gravi reati di camorra. Non violavano il divieto di intercettare deputati perché le intercettazioni discusse riguardavano altre persone, e la presenza del deputato, allora al Governo (e il legame intimo con la malavita che le conversazioni registrate hanno dimostrato) è stata un importante imprevisto investigativo. Ma nessuno si preoccupi per eventuali offese ai diritti di personaggi eletti. Nonostante il peso e l’evidenza delle accuse e il legame di diretta responsabilità politica di Cosentino nei territori della morte di cui aveva parlato la mattina di quel giorno il programma di Radio Tre dal titolo esemplare “Tutta la città ne parla”, la libera decisione dei deputati della Repubblica italiana è stata la seguente: 308 voti a sostegno di Nicola Cosentino, per impedire ai giudici di usare le intercettazioni che provano lo stretto legame del notabile politico con la camorra, 265 a sostegno dei giudici. Voto segreto che lascia capire che non tutti coloro che avevano annunciato di votare secondo la legge (che accusa Cosentino) lo hanno fatto. Evidentemente – voto segreto o no – qualcuno si è sentito a rischio. Chi ha verificato i tabulati suggerisce che persino dall’opposizione qualcuno si è messo al riparo dal rischio Berlusconi-Cosentino-camorra che, ammettiamolo, nell’Italia di oggi non è poca cosa. Però qualcosa deve essersi incrinato nel filo di lunga armonia fra camorra e Governo. Tornano all’improvviso i cumuli di immondizia che bloccano Napoli. Ciascuna di queste storie spiega l’altra. I telegiornali mostrano le strade di Napoli come negli ultimi giorni di Prodi. Barricate di immondizia, popolazioni in rivolta nelle strade, camion di rifiuti incendiati, tumulti di donne contro i battaglioni di polizia in tenuta da sommossa, cronache concitate che non raccontano né l’inizio, né l’esito di ciò che sta accadendo. Si direbbe che il dio della camorra non è stato placato dai delitti, perché il sangue è il suo business (il sindaco di Portici, mentre parlava a RadioTre, ha elencato senza enfasi i nomi di altri sindaci uccisi, non la storia di anni, ma la cronaca di giorni). Il dio della camorra, che aveva realizzato il celebre miracolo (attenzione, è arrivato Berlusconi, oggi l’immondizia c’è, domani è sparita, strade pulite e cassonetti in ordine, mai vista una cosa simile?) adesso non si fida. Infatti il padrone di Cosentino appare rimpicciolito, spaventato dai suoi ribelli, troppa gente infida che lo sta abbandonando. Se c’è un patto, come farà – con tutta la buona volontà – a mantenere quel patto? La camorra non è un alleato politico che compensa questo con quello. È un socio d’affari. Se non vede dividendi, va a prenderseli. Per prenderseli entra in azione. Come fai a continuare a fidarti di un capo di Governo così piccolo, così debole, così distratto dalle vendette private? Ecco dunque che è guerra. Colpisce la sequenza dei fatti e la coincidenza dei tempi. Forse molti di noi, nell’euforia di avere notato l'inizio della caduta di Berlusconi, avevano prestato un’angosciata attenzione al furibondo vandalismo istituzionale che sta segnando quella caduta (distruggere dal bunker la terza carica dello Stato come modo di destabilizzare anche gli aspetti ordinari e quotidiani della vita pubblica e renderla impossibile). Ma non avevano previsto le conseguenze del frantumarsi di un patto fra illegalità e malavita, che controlla indisturbata un terzo dell’Italia, nonostante il tarlo di giudici ostinati, di sindaci che conoscono il proprio destino e lo possono anche raccontare a un Paese inerte, di poliziotti senza mezzi, persino senza benzina, che non hanno mai smesso di fare il proprio lavoro impossibile.
I precari del crimine
ECCOCI dunque al momento in cui la Repubblica Italiana fa il suo incontro, accanto al cadavere di Teresa Bonocore, con Enrico Perillo, di professione camorrista, che dal carcere è in grado di uccidere chi lo ha denunciato per lo stupro di una bambina e ci accorgiamo che – in questa scena– lo stupro è un dettaglio, l’uccisione è un lavoro quotidiano, (Roberto Saviano) gli esecutori di quel lavoro sono precari del crimine, che sparano a prezzi stracciati con la promessa di un posto, mentre sullo sfondo si accendono i fuochi di montagne di immondizia che rischiarano la torbida scena e danno un senso alla vita che stiamo vivendo e a quella che sta per venire. Ah, se avessimo un partito o uno schieramento politico per ritrovarci insieme a parlare di queste cose, a domandarci (ma per rispondere chiaro, subito): “Che cosa fare adesso? Che cosa fare dopo?”.
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