

VITTORIO ZUCCONI
PROPRIO nei giorni della festa di addio all'estate, di quel lungo e agrodolce weekend del "Labour Day" che rispedisce tutta la nazione a scuola e al lavoro (se ce l'ha) l'America vive la morsa di un doppio incubo.
Da sud echeggia la nuova esplosione di una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, con l'ombra di una chiazza di greggio che si estende per quasi due chilometri neppure sei mesi dopo la catastrofe della "Deep Horizon". Da ovest arriva l'attacco dell'urgano Earl, un "categoria 3", come Katrina, che sta rimbalzando lungo le spiagge ancora affollate dell'Atlantico dalle Carolinas fino alle sponde dei ricchi newyorkesi negli Hampton, poi dei Kennedy e dei Bush nel Maine, duemila chilometri a nord.
Ieri, nel giovedì che Barack Obama sperava fosse dominato dalla nuova, esilissima, ma bella promessa di negoziato fra una parte dei palestinesi e gli israeliani, il ciclo delle immagini, delle notizie e delle paure è stato invece assalito dalla corsa dell'uragano che sta costringendo milioni di turisti a levare sdraio e ombrelloni e a scappare. E poi dal timore che questa nuova esplosione in quel Golfo ancora insozzato dai 20 milioni di barili di petrolio della BP vomitati dal pozzo della "Deep Horizon" possa essere una nuova catastrofe ecologica e umana.
Naturalmente, Barack Obama non ha alcuna colpa nella formazione e nella rotta dell'uragano o nell'incendio che ha consumato questa piattaforma senza, dicono le prime notizie, fare altre vittime che un ferito non grave fra i 13 tecnici a bordo, né scatenare un altro flusso di greggio nelle acque davanti alla Louisiana, che
La fine estate, per gli Stati Uniti, è una stagione che per coincidenza, per destino, per semplice dinamica climatica stagionale, porta orribili ricordi e brutti presentimenti. Katrina, l'uragano che inghiottì mezza New Orleans e affondò la presidenza di George Bush fu di questi giorni, a fine agosto 2005, perché questa è la stagione nella quale l'Africa spedisce tempeste in serie lungo la rotta di Cristoforo Colombo, seguendo i venti Alisei. Settembre, come nessuno ha davvero dimenticato, è il mese che costringe tutti al ricordo del massacro di Manhattan e di Washington, arrivato al nono anniversario. Sempre il mese di settembre, quando l'attività riprende a pieno regime e i conti sospesi dalle ferie e dalla canicola tornano sul tavolo, vide quel collasso finanziario e quindi economico del 2008 dal quale ancora l'America, e il resto del mondo, non riescono compiutamente a uscire.
Il flash dell'incendio nella piattaforma Vermillion della "Mariner Oil" di Houston, una compagna indipendente di estrazione, non sembra essere stato della gravità e della magnitudine di quanto accadde in aprile nel pozzo sottomarino della British Petroleum. Il fatto che la estrazione di gas e di petrolio fosse stata in questi giorni sospesa può avere evitato l'apertura di un arteria sanguinante dal fondo marino dove ancora oggi, nonostante il tappo piazzato con successo, vagano "enormi piume" di greggio, dice
Ce ne sono 3.858, in pratica tutte affidate al buon cuore e alla sorveglianza delle aziende che le gestiscono per conto proprio, come questa della "Mariner Oil", o per contro terzi, come la "Deep Horizon". Né
La fame insaziabile di combustibili che aveva convinto lo stesso Obama ad allentare il divieto per nuove esplorazioni marine, l'aumento del prezzo del greggio che stimola la produzione, l'allergia a ogni "laccio e lacciuolo" statale particolarmente acuta nell'industria del petrolio, garantiscono che l'incubo ritorni e che la "roulette russa" giocata fra le migliaia di impianti presto o tardi faccia partite un colpo, o due, come in questa estate 2010. Imporre nuove regole e controlli, bloccare nuovi pozzi, costringere automobilisti e fabbriche di auto a misure di risparmio, incontrano inesorabilmente l'opposizione le reazione di un Paese ancora oggi convinto di possedere il diritto divino alla benzina a buon mercato, pur importando ormai due terzi del petrolio bruciato.
Ci saranno dunque nuove esplosioni nel Golfo, sperando che il loro impatto sia limitato come pare essere stato questo di ieri, e nuovi, devastanti uragani, forse stimolati dall'aumento della temperature dell'acqua, che è il combustibile del quale i cicloni si nutrono. L'uragano Earl, che forse sfiorerà con venti fortissimi e piogge a cascate ma senza investirla in piena furia la costa Atlantica e l'esplosione contenuta nel Golfo, ammesso che la fuga di petrolio dalla sorella maggiore della quale nessuno si occupa più, sia stata davvero limitata, potrebbero essere soltanto incubi, non catastrofi realizzate. Ma, tutti e due, richiami alla vulnerabilità di una nazione che si credeva intoccabile e si ritrova in settembre, a rabbrividire.
(03 settembre 2010)

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