martedì 7 settembre 2010

La mossa di Berlusconi e Bossi: "Fini incompatibile, intervenga Napolitano"


UGO MAGRI

Nel drammatico vertice notturno, vince la tesi del Senatùr: con il presidente della Camera che rema contro, è impossibile fare le riforme, federalismo addio. Dunque delle due l’una. O Fini si toglie di torno, oppure tanto vale andare alle urne subito, anche a novembre... Siamo dunque a un passo dalla crisi istituzionale.

Il premier, spalleggiato da Bossi, dichiara «incompatibile» con il suo ruolo la terza carica dello Stato. E sollecita a Napolitano un incontro dove gli chiederà un gesto che esula dalle sue prerogative: cacciare il presidente della Camera. Pare che Bossi sia pronto a premere lui stesso il grilletto delle elezioni anticipate. La Lega si asterrebbe sul documento programmatico del governo, un auto-affondamento in piena regola per dichiarare chiusa la XVI legislatura repubblicana. Se questo esige il Carroccio, Berlusconi può solo alzare le braccia in segno di resa. Già, perché di resa si tratta.

Potendo, il Cavaliere eviterebbe le urne. I suoi sondaggi riservati sono tutt’altro che esaltanti. E comunque, le poche chances di ripetere il trionfo 2008 sarebbero castigate da un passo falso. Tipo: precipitare il Paese verso elezioni che la gente si spiegherebbe solo come effetto di una faida privata, frutto malato di scontri caratteriali, risultato inevitabile di mosse mal calcolate. «Non è che io abbia paura del voto», è l’argomento speso nella notte dal Cavaliere con Bossi, «ma la rottura definitiva dovrebbe avvenire su questioni che interessano la gente, capaci di coinvolgerla direttamente...».

In assenza di giustificazioni vere, più che una campagna elettorale sarebbe una corsa al massacro. Ecco perché ieri mattina, in gran segreto, due esponenti finiani erano stati ricevuti nella villa di Arcore: il presidente dei senatori Fli, Viespoli, e il coordinatore dei gruppi parlamentari, Moffa. Berlusconi li aveva accolti insieme col sottosegretario Augello («pontiere» tra il premier e i dissidenti). Voleva capire se il suo governo ha ancora uno spiraglio di futuro, oppure la maggioranza è già dissolta, come sostiene Bossi. «Con Fini io, personalmente, non parlerò neanche morto», era stata la premessa del Cavaliere, «provateci voi». Verificate, aveva aggiunto, in che cosa consisterebbero le richieste finiane per stipulare quel patto di legislatura evocato domenica dal presidente della Camera. Lasciando intendere che le avrebbe esaminate con cura, perché non siamo più al brusco «prendere o lasciare» di qualche giorno fa. Se le pretese fossero appena appena ragionevoli, aveva soggiunto, i cinque punti della mozione di fiducia potrebbero essere aggiustati, ritoccati... E’ sottinteso che Moffa e Viespoli si erano mossi da Roma non prima di avere informato Fini. E non c’è bisogno di aggiungere che, di ritorno da Arcore, avevano subito messo al corrente il loro leader. La premessa col Cavaliere era stata, del resto, molto esplicita: «Basta coi tentativi di spaccarci, di dividerci in buoni e cattivi, altrimenti non possiamo metterci nemmeno a sedere».

Insomma, poche ore prima che Bossi gettasse lo spadone sulla bilancia, si consumava l’ultimo disperato tentativo di pace. Che se fosse andato in porto sarebbe stato coronato, nella mente del Cavaliere, da un documento, un preambolo, un incipit (le idee non sono ancora chiarissime) concepito come «Patto di lealtà verso gli elettori». Dunque con l’impegno solenne dei parlamentari finiani a non pugnalare sui provvedimenti chiave il governo e la legislatura. Come mai Silvio, violentando il suo personaggio, aveva accettato di piegarsi a una trattativa sempre sdegnosamente rifiutata? Perché quando si sente stretto in un angolo, l’uomo sa essere realista. Nel pomeriggio erano andati a trovarlo il capogruppo Cicchitto e colui che ha monitorato la «campagna acquisti» tra i deputati, cioè Verdini. Purtroppo per Silvio, la caccia di onorevoli senza patria né bandiera ha fin qui prodotto risultati alquanto modesti. Nel voto di fiducia sui cinque punti, una maggioranza forse ci sarebbe pure senza i finiani. Però tra quanti hanno la testa sulle spalle nessuno osa mettere la mano sul fuoco. E comunque (vedi Prodi) non si fanno grandi riforme, anzi nemmeno si governa, con due-tre voti di scarto.

La Lega proprio questo sostiene. «Se Berlusconi dava retta a me», sospira Bossi al Tg2, allo scioglimento delle Camere si sarebbe già arrivati. Ora va da sé che, con la richiesta a Napolitano di dichiarare Fini incompatibile, si spezza anche l’esile filo del negoziato sottobanco. Il buonsenso è maturato tardi, quando il gong era già suonato. Ora non resta che allacciarsi le cinture.

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