venerdì 3 settembre 2010

Quel che so di Schifani


di Lirio Abbate

La verità sull'avvocato Renato Schifani dice di conoscerla bene l'imprenditore palermitano Giovanni Costa, con un patrimonio di centinaia di milioni di euro posto sotto sequestro e una condanna sulle spalle a nove anni per riciclaggio, accusa per la quale è in corso il processo d'appello. È una verità finora inedita e se fosse riscontrata dalla magistratura potrebbe portare ad attivare nuove indagini. Il nome di Costa, 56 anni, compare nell'elenco delle persone che la Procura di Palermo intende interrogare, insieme al dichiarante Gaspare Spatuzza: dall'imprenditore i pm pensano di ricavare notizie ancora riservate sull'ex avvocato.

In particolare gli inquirenti vogliono far luce su eventuali collegamenti che ci sarebbero stati nei primi anni Novanta tra Schifani ed esponenti di Cosa nostra, in particolare i fratelli Graviano autori delle stragi siciliane del 1992 e di quelle di Roma, Milano e Firenze del 1993.

Per il presidente del Senato questa ipotesi "è priva di ogni fondamento", ma ha assicurato "la massima disponibilità con l'autorità giudiziaria qualora decidesse di occuparsi della questione". Alle rivelazioni di Spatuzza si aggiungono ora i retroscena di cui è a conoscenza Costa, che racconta a "L'espresso" una storia che spetterà poi ai magistrati verificare.

Secondo il suo racconto, Costa è stato per anni uno dei clienti dell'amministrativista Schifani incaricato di fargli da consulente in alcuni affari sui quali hanno indagato gli investigatori antimafia.

"Lui era il mio consulente, la persona che mi consigliava, quello che riusciva a mettere le carte a posto controllando i documenti con i quali chiudere affari senza avere problemi".

Questa volta il dito contro il senatore eletto nel collegio di Corleone non lo punta un ex sicario come Gaspare Spatuzza, bensì un imprenditore che in passato avrebbe avuto contatti con la mafia palermitana e da anni si è trapiantato a Bologna dove ha portato avanti società immobiliari, assicurative e di costruzioni.

Il giro d'affari gestito da Costa fra gli anni Ottanta e i primi Novanta era enorme e su questo patrimonio i pm hanno puntato le indagini con le quali hanno accertato che si trattava, in parte, di riciclaggio. "Ho sempre fatto le mie mosse con la consulenza di Schifani, lavoro per il quale gli pagavo dal 1986 uno stipendio mensile di due milioni di lire per seguire i miei lavori a 360 gradi. Era il mio consigliere. Ma nel processo in cui sono stato condannato lui, chiamato a testimoniare, non ha detto la verità. Ha preso le distanze stravolgendo i fatti, sostenendo addirittura che lo avevo inserito nel consiglio di amministrazione di una società di Milano a sua insaputa. E invece era stato lui a chiedermelo perché voleva lasciare Palermo, per questo gli proposi l'incarico di presidente o di amministratore delegato. Poi decisi che non se ne faceva più nulla".

Costa in passato sarebbe stato collegato a un boss di Villabate, cittadina alle porte di Palermo, e secondo l'accusa avrebbe ripulito somme di denaro provenienti da attività degli affiliati a Cosa nostra e da una truffa finanziaria organizzata in Sicilia agli inizi degli anni Novanta da Giovanni Sucato, definito "il mago dei soldi", poi morto carbonizzato nel 1995. Ma l'imprenditore nega ogni contatto con la mafia. E ricorda che Schifani nell'anno in cui la mafia uccide prima Salvo Lima e poi Falcone e Borsellino "voleva andar via da Palermo perché aveva paura. Mi aveva chiesto di venire a Milano e di inserirlo nel consiglio di amministrazione dell'Alpi assicurazioni di Fabbretti. Non voleva stare più a Palermo, sospettavo che avesse paura". Nel racconto lo stesso Costa si chiede: "Ciò significava forse che era "impastato" (colluso con i mafiosi, ndr)?". E si risponde testualmente: "Se hai paura della propria città ci sarà un motivo". Ma alla domanda precisa se Schifani avesse contatti con la mafia, l'imprenditore risponde: "Non lo so. Però lo conoscevano tutti. Era un bravo civilista e lui forse queste persone le conosceva perché trovava le pratiche già allo studio... Lui comunque nel 1992 continuava a ripetermi che voleva andare a Milano, forse perché già era innamorato di Berlusconi...".

Negli anni Ottanta Schifani difendeva i beni dei mafiosi davanti ai giudici per evitare il sequestro e lo faceva con grande professionalità e impegno da avvocato esperto in diritto amministrativo e in urbanistica, "perché quando prendeva una difesa diventava "fedele a te"".

"Noto però", aggiunge Costa, "che molti nomi di suoi ex clienti non vengono fatti. Eppure erano persone che all'epoca avevano un peso a Palermo". E aggiunge: "Prima o poi la verità su Schifani la racconterò tutta fin dal primo giorno in cui l'ho conosciuto", perché "la verità viene sempre a galla".

Ma come avvenne il primo incontro con Schifani? E perché lo scelse come suo avvocato? "Me lo indicarono alcuni amici. All'epoca", ricorda Costa, "avevo bisogno di risolvere alcuni problemi amministrativi e lui mi era stato segnalato come la persona che poteva risolvere tutto: oltre che bravo, mi dicevano, aveva conoscenze negli uffici più importanti per un imprenditore, a cominciare da quello per l'edilizia privata del Comune di Palermo, dove aveva lavorato suo padre, fino al Tar. Era bravo, forniva consulenze e dava consigli su come agire in casi di difficoltà". Non svolgeva dunque solo il ruolo di avvocato? "Era anche il mio consulente. Faceva in modo di sistemare i conti e le carte. All'epoca se avevi denunciato un reddito di 300 mila lire e poi ti trovavi ad acquistare un bene da 100 miliardi di lire, era complicato spiegarlo al fisco. Si doveva trovare la forma per concludere l'affare, perché allora eravamo tutti evasori fiscali, non riciclatori. E lui era bravo a trovare le soluzioni per portare a termine l'acquisto".

Gli episodi vissuti da Costa al fianco di Schifani affiorano alla mente dell'imprenditore che li descrive con grande cura, senza tralasciare nessun particolare, compresi gli incontri di lavoro nel suo studio legale: "Schifani sapeva tutto di me e dei miei affari, mi consigliava in quello che dovevo fare. Non facevo nulla se prima i documenti non venivano esaminati da lui. Ogni mossa era concordata con l'avvocato Schifani. Alla fine però sono stato condannato per riciclaggio e lui al processo non è venuto a dire la verità, che lui conosce bene".
A una parte di questa ricostruzione dei fatti, Renato Schifani ha già risposto ai giudici, un anno prima della sua nomina a presidente del Senato, come testimone nel processo a Costa per riciclaggio. Dinanzi alla quarta sezione del tribunale di Palermo, vengono poste a Schifani poche domande dalla difesa che lo ha citato. È qui che sostiene di aver seguito come legale l'imputato "negli anni Novanta per alcune vicende di carattere civile". Costa parla invece di un rapporto di lavoro avviato già nell'86. Il senatore dice che si trattava di "attività extra-giudiziaria, civilistica, contrattualistica" e poi che Costa lo aveva nominato consigliere d'amministrazione della Alpi assicurazioni. "Non accettai", ha precisato Schifani, "perché dissi che questo esulava dal mio ruolo professionale. Lo aveva fatto a mia insaputa, infatti non ho mai accettato, perché ho detto che io svolgevo il ruolo professionale, non ho mai accettato, perché non ho mai frapposto il mio ruolo professionale con altri tipi di ruoli che nascessero da interessi clientelari". Ma Costa insiste: "Non andò così, chiamerò Schifani a testimoniare nel processo d'appello".

Nessun commento: