Al Senato attacca e insulta, chiede le dimissioni di Fini. Poi scarica Feltri e Belpietro
di Sara Nicoli
Urla. Strepita. Arringa l’aula. Il Caimano è tornato. Altra storia rispetto alla giornata di martedì alla Camera dove i toni dorotei erano i benvenuti. A Palazzo Madama ha però una doppia faccia: incontra le senatrici del Pdl e scarica Belpietro e Feltri: “Non rincorriamo queste voci sulla casa di Montecarlo – ha detto Berlusconi – io non gli ho mai dato peso e non interessa neanche agli italiani. Non è con queste armi che dobbiamo polemizzare con Fini: la verità è che la situazione ci è sfuggita di mano. E poi in Italia la politica la fanno i giornali e anche i giornali che fanno riferimento al Pdl hanno sbagliato, hanno esagerato…”. Ci tiene di più a ribadire il concetto essenziale: “Il problema è un altro: ed è la permanenza di Fini sullo scranno più alto della Camera. Chi si spinge addirittura a fondare un partito non può fare il presidente sarebbe logico che si dimettesse ora...”. Chi c’era a quel colloquio giura che le parole del premier non erano affatto venate di rancore. Neppure quando una delle astanti ha accusato Fini di connivenza con la magistratura contro il premier. E lui, Silvio, si sarebbe limitato ad annuire.
Il secondo voto di fiducia
PASSO indietro. Al voto al Senato: il Cavaliere nel secondo round per la fiducia, incassa 174 voti a favore e 129 contrari, con una maggioranza richiesta di 152 su 303 senatori presenti. In teoria tutto tranquillo. In teoria. In realtà punta i cannoni diritti sull’opposizione, in puro stile pre elettorale. Perché i finiani, lui lo sa, saranno “fedeli”. E lo ha anche detto chiaro: “Tutti – ha sottolineato – svolgeranno con lo spirito costruttivo e leale di sempre il loro mandato parlamentare". Tradotto: i finiani ci servono sulla giustizia, meglio trattarli con i guanti bianchi. Toni concilianti in mattinata, ma poi nella replica torna il Caimano di sempre. Sistemate le questioni di maggioranza, Berlusconi si rivolge verso i banchi presieduti da Anna Finocchiaro e passa in rassegna le truppe nemiche: "Servirebbe un'opposizione responsabile – ecco il primo cicchetto – capace di confrontarsi civilmente e andare oltre gli slogan". Impossibile, però, finché "non si distingueranno dal giustizialismo". Perché sono gli uomini della sinistra che, secondo il premier, non vanno. Qualche esempio? Su Napoli: "Il problema dei rifiuti è definitivamente risolto, quello che non funziona è la raccolta", e la colpa ha un solo responsabile, "il sindaco Pd Rosa Russo Iervolino". Sulla scuola: una"bugia" i tagli, anzi è stata "degradata" dalla sinistra che "l'ha trasformata in un ammortizzatore sociale". Quindi, il punto che ormai è un nervo scoperto al pari della giustizia, la politica estera, stuzzicata dal Pd Luigi Zanda. Partenza con Gheddafi: "Nessun inginocchiamento – ha nuovamente mentito – ma grazie a questo signore una Libia che non ci voleva dare gas ci darà gas per i prossimi 40 anni". E sempre "grazie a questo signore" – ovvero lui medesimo, il Cavaliere – si sono riavvicinate Usa e Russia: "Domandi al presidente Putin e a Sarkozy - ha puntato il dito proprio contro Zanda - come è andata la vicenda in cui c'erano i carri armati russi a 15 chilometri da Tbilisi...". E sempre dopo che "questo signore andò negli Stati Uniti, alla fine arrivarono settecento miliardi di dollari perché le banche americane non fallissero". Comunque, “per l’Italia si apre ora una grande stagione di riforme”, parole che hanno fatto davvero pensare che abbia ragione da vendere il capogruppo dipietrista Felice Belisario quando, durante la replica, ha bollato questo tazebao di fandonie come l’unico modo, per il premier, di “andare avanti per la soluzione dei suoi problemi giudiziari”; sarebbe stato meglio prendere atto che “ormai lei è sul viale del tramonto”.
Mentre in aula, infatti, si consumava il teatrino berlusconiano, con tanto di plateale sonnellino del premier interrotto da uno strattone di Sandro Bondi per scuotere il “caro leader” da un “leggero assopimento”, fuori fremevano le trattative sul fronte del lodo Alfano costituzionale e della leggina sul legittimo impedimento bis per bloccare il verdetto della Corte a gennaio. Maestro di cerimonie proprio il ministro Bondi che ha riunito, al tavolo di un ristorante del Senato, il capogruppo finiano Viespoli, il vicecapogruppo Pdl Quagliariello e Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali. Gli uomini del presidente della Camera potrebbero appoggiare la risoluzione sulla giustizia a patto che le Camere non si sciolgano prima della fine di dicembre perché a gennaio, sostengono alcuni finiani di stretta osservanza, partirà il nuovo partito. E per allora la poltrona di Fini potrebbe essere già libera.
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