giovedì 28 ottobre 2010

Fini, il terremoto è in arrivo


di Piero Ignazi

Non bisogna farsi ingannare dai toni felpati e dalla cautela con cui si sta muovendo. Perché la strategia del presidente della Camera porta dritto verso l'esplosione del quindicennio berlusconiano

(25 ottobre 2010)

In un firmamento di stelle fisse quella di Gianfranco Fini si sarebbe spenta presto. Il suo muoversi con una pattuglia di fedelissimi contro l'invincibile armada del Cavaliere avrebbe portato alla dispersione di un capitale politico accumulato nei decenni. Ma la situazione non è più quella degli anni 2000. Tutto sta cambiando e il potere berlusconiano non ha più la presa ferrea di un tempo. Intendiamoci: Silvio Berlusconi dispone sempre di risorse incommensurabilmente superiori ad ogni altro attore politico, e sa utilizzarle con la massima spregiudicatezza - e il presidente della Camera se n'è accorto, quest' estate.


Tuttavia il pack siberiano prodotto dalla glaciazione berlusconiana comincia a sciogliersi: capi e capetti pidiellini si stanno posizionando all'interno del partito per prepararsi al dopo-Pdl e, inevitabilmente, finiscono per litigare ancora prima di disporre delle spoglie. Anche oltre il recinto del centrodestra c'è movimento. Da Rutelli a Montezemolo, da Casini agli ex popolari malpancisti del Pd, fino ai residui della sinistra radicale, è tutto un vorticare di incontri e progetti. Insomma, lo scenario prefiguratosi all'indomani delle elezioni del 2008, imperniato su due gradi partiti e qualche piccolo comprimario, è andato in fumo.

Il vero motore propulsivo di questa fase, per la portata sistemica della sua azione più che per primogenitura, rimanda a Gianfranco Fini. Con mosse felpate, ma accompagnate da una serie continua di punture di spillo volte sempre a differenziarsi dal Cavaliere, il presidente della Camera si è avvicinato quasi in souplesse allo scontro finale con Berlusconi. Il redde rationem si è consumato il 22 aprile scorso, nell'insolita sede della direzione del Pdl.

In quella sceneggiata da congresso pannelliano, dove i due leader litigano in diretta sciorinando le loro incompatibilità di fronte alla platea televisiva, non solo si consuma la rottura per lesa maestà ma si assiste ad un "salto di specie" per quanto riguarda Gianfranco Fini. Per la prima volta egli abbandona l'eloquio trattenuto e presidenzialista, e si proietta metaforicamente e fisicamente al centro dell'arena, pronto al conflitto gladiatorio, sub specie di rissa verbale.

Quella scena marca un punto di non ritorno nei rapporti tra i due dioscuri del Pdl, e persino nella loro immagine pubblica. Il Fini imbalsamato nello scranno più alto di Montecitorio diventa un politico di lotta e di governo; inizia l'alternanza tra l'aplomb da statista in formazione e in accreditamento internazionale, e la retorica da capo-partito, pur senza abbandonare giacca e cravatta.

Lo slalom tra i due ruoli si presenta insidioso, perché il fondatore di Futuro e Libertà non può rinunciare del tutto alla sua immagine di leader affidabile e conciliante coltivata negli ultimi 15 anni e diventata uno dei suoi segni caratterizzanti , oltre che fonte primaria del suo apprezzamento trasversale. Allo stesso tempo, per raccogliere intorno a sé consensi che si identifichino con il suo progetto è costretto a "innalzare il livello dello scontro". È evidente la contraddizione tra i due piani: conservare una allure presidenziale e battagliare quotidianamente con gli avversari richiede doti di alto equilibrismo. Non solo.

Vi è una ulteriore difficoltà da superare: si tratta di tradurre i consensi personali del presidente della Camera alla sua formazione politica. È un passaggio cruciale che Fini conosce bene fin da quando guidava Alleanza nazionale: allora, a un riconoscimento di amplissime proporzioni alla sua persona non corrispondeva che un 12-15 per cento di voti al partito. Ora, per evitare che l'apprezzamento generalizzato del leader si disperda in questo "trasferimento" è necessario fornire al nuovo soggetto politico una identità precisa e facilmente riconoscibile.

Qual è l'identità della galassia finiana (Fare Futuro, Generazione Italia, Il Secolo d'Italia, Futuro e Libertà)? Da quanto si legge nei loro siti ancora più che nelle dichiarazioni dei leader politici emerge una forte contrapposizione al mondo forzaleghista in generale, e al presidente del Consiglio in particolare. Sono così insistenti e così feroci le critiche al centrodestra che si fatica a collocare ancora questa galassia nell'orbita governativa. La separazione dei rispettivi percorsi si percepisce sia dai diversi riferimenti politico-ideali che da valutazioni sempre difformi sulle singole questioni.

Questa contrapposizione fa aggio sull'adesione, da parte dei finiani, a una cultura politica borghese-moderata che non sopporta le forzature istituzionali, le sguaiataggini, e l'esibizione del denaro e del potere da parte degli attuali governanti. La legalità e il "senso dello Stato" sono i cardini di tale contrapposizione. Una tale impostazione raccoglie apprezzamento e stima, ma questi sentimenti difficilmente si trasferiscono in forte identificazione politico-partitica (anche perché sorge inevitabile la domanda: ma ve ne accorgete solo adesso...?). C'è invece, ancora sottotraccia, un fattore mobilitante potente di cui il movimento finiano ha il copyright e sul quale può prosperare: l'orgoglio nazionale. Fini personalmente e molti dei suoi sono interpreti credibili - per certi aspetti i più credibili - di questo sentimento perché i vessilli dell'identità e dell'unità nazionale appartengono al Dna della destra (seppur spesso mal interpretati e persino pervertiti).


La galassia del presidente della Camera dispone di tutte le credenziali per rivendicare contro la Lega l'orgoglio nazionale. Non in una ottica di vittimismo meridionalista che la condannerebbe a fare una sorta di Lega-sud ma al contrario andando a contrapporsi in terra leghista per intercettare l'onda montante di insoddisfazione nei confronti del Carroccio. Proprio dove i leghisti dilagano incontrasti con tutta la loro arroganza, dalla scuola di Adro alle lottizzazione selvaggia in ogni ente, e umiliano i simboli della storia nazionale, lì una voce alta e forte che la contrasti conquista uno spazio finora lasciato libero da tutti gli altri partiti. Si può allora prefigurare uno scenario in cui Futuro e Libertà, connotandosi come il partito dell'orgoglio nazionale, non solo potrebbe conservare il suo tradizionale territorio di caccia di destra, ma potrebbe attrarre anche altre componenti mobilitate dall'antileghismo.

Tutto questo prefigura una agenda politica e una dinamica politica nuove che fanno dell'identità nazionale il terreno di scontro centrale. Condizioni ancora incerte, per la verità. Ma la chiara identificazione del messaggio che si vuole inviare e la proprietà esclusiva di un tema forte e mobilitante, sono due condizioni ottimali per un successo. Vedremo.

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