

di ATTILIO BOLZONI
Tutto quello che era rimasto sotto traccia per tanto tempo adesso risale dalle viscere fangose della nostra Italia che ogni primavera e ogni estate celebra solennemente i suoi "eroi", i due magistrati che un pezzo di Stato voleva morti. Dall'Addaura a via Mariano D'Amelio, passando per Capaci e per un intrico dopo l'altro, quei misteri di Palermo che hanno segnato un quarto di secolo di strategia della tensione. Bombe. Bombe nella frontiera più lontana e inafferrabile,
Paolo Emanuele Borsellino, procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, è stato assassinato cinquantasei giorni dopo il direttore generale degli Affari penali della Giustizia Giovanni Falcone. Neanche due mesi, 23 maggio e 19 luglio. Neanche due mesi erano trascorsi dal "botto" sull'autostrada, neanche due mesi e
La vicenda che sfiora o si abbatte su Lorenzo Narracci è soltanto una, è solo uno dei tanti "episodi" che hanno marchiato la spaventosa escalation della strategia della tensione siciliana. Iniziata con i delitti politici nei primi Anni Ottanta - Mattarella,
Un'altra storia sembra Capaci, ma è sempre la stessa storia. Con le impronte dei funzionari del servizio segreto civile sparse sul luogo della strage (appunti dei cellulari di Narraci), con i depistaggi a seguire, con gli identikit dei sicari che non si trovano più, con le carte dell'inchiesta sepolte sotto lo sterco dei topi e corrose dall'umidità. Un'altra storia sembra via Mariano D'Amelio, ma è sempre la stessa storia. Con una squadretta di agenti appostata su Castel Utvegio, proprio sopra la strada della morte. Con i tabulati di Gaetano Scotto - il boss dell'Arenella che teneva i rapporti fra le "famiglie" e gli 007 - scomparsi dal fascicolo processuale. Con le agende sparite, per esempio quella rossa che Paolo Borsellino portava sempre con sé e che mai più si è ritrovata. In ogni strage siciliana hanno lasciato il loro odore quelli là, hanno lasciato il tanfo i "soggetti esterni", gli spioni.
Che cosa si scoprirà ancora è difficile intuirlo. Ma se è vero che Totò Riina è stato il mafioso che ha scatenato la guerra allo Stato italiano alla fine del secolo scorso, è ormai abbastanza certo che non ha fatto tutto da solo. Molto probabilmente il boss di Corleone non parlerà mai. E se ne andrà nella tomba da sconfitto. Consapevole di avere fatto la fine del sorcio: utilizzato fino a quando serviva, latitante fino a quando faceva comodo, potente fino a quando qualcuno lo convinse - prendendolo in giro- che avrebbe risolto tutti i suoi problemi mettendo quelle bombe.
(28 ottobre 2010)

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