di Gian Carlo Caselli
Si apre oggi a Napoli il XVIII Congresso di Magistratura democratica (Md), la “corrente” che ossessiona il premier. Da tempo infatti egli l’ha assunta a paradigma di quel “sistema giudiziario politicizzato” che è obbligatorio inventarsi se si vuole mascherare una cronica riluttanza ai controlli di legalità.
MD NASCE nel 1964, quando - dopo anni di sostanziale inadempimento costituzionale - cominciò un formidabile processo (consolidatosi negli anni ’70) che innescò un rinnovamento sociale e politico denso di conseguenze anche sulla giurisdizione. Con lo statuto dei lavoratori (maggio 1970) i giudici si videro attribuire un inedito ruolo di garanti e promotori dei diritti sociali e il sistema giudiziario divenne strumento di emancipazione dei cittadini. Il modello era, per definizione, espansivo e in breve si affermò anche in altri settori : la casa, lo studio, i diritti degli utenti, la famiglia, i minori, l'handicap, le aree emarginate, la tossicodipendenza, la sofferenza psichica, l'immigrazione, etc. Passò meno di un decennio e la magistratura dovette misurarsi con la stagione del terrorismo (nero e rosso) e poi con i fatti e i misfatti di poteri occulti e illegali (dai servizi deviati alla P2), con una mafia sempre più aggressiva e potente, con una corruzione di estensione abnorme e addirittura sistemica. Di qui la proiezione della magistratura nella dimensione, egualmente inedita (e non senza forti esposizioni anche personali), di garante del diritto dei cittadini alla legalità nei confronti dei poteri forti, sia privati che pubblici, e di strumento di controllo dell'esercizio di tali poteri.
AL CONTRARIO, la situazione è tale da richiedere un rinnovato impegno ed un superamento delle tentazioni all’isolamento, anche sforzandosi di costruire un ceto di giuristi capace di interlocuzione sui temi del diritto e delle regole con tutti i soggetti interessati, a partire dai politici che non abbiano a cuore soltanto i loro interessi personali.
Basta elencare alcuni dei problemi della difficile stagione che stiamo attraversando: l’obiettivo di uguaglianza predicato dall’art. 3 capoverso della Carta fondamentale (impegnativo anche per i magistrati) sembra sempre più allontanarsi;- il sistema del welfare e dei diritti subisce attacchi pesanti;- le relazioni industriali vengono quotidianamente riscritte all’insegna del primato dell’economia;- il diritto penale diseguale è pane quotidiano;- lo sfascio organizzativo generale della giurisdizione ne accentua i tradizionali caratteri selettivi (come dimostrano la composizione e la tragedia del carcere);- la questione morale è più che mai acuta;- corruzione e collusioni col malaffare dilagano.
IN QUESTO ragionare e confrontarsi pubblicamente sul ruolo della giurisdizione, stimolare e organizzare la riflessione e l’analisi critica su ciò che accade in essa e intorno ad essa è fondamentale, tanto quanto lo è stato nei 40 anni passati. Ed è più che mai necessaria la presenza di una Magistratura democratica forte e rigorosa (anche nella critica al giudiziario): capace di allontanare la rassegnazione, l’indifferenza, il disimpegno e il riflusso, se non addirittura il trasformismo e l’opportunismo. Sono le scelte che facciamo oggi a preparare il futuro. La speranza, nell’interesse della giustizia, è che questa consapevolezza si affermi ed esca rafforzata dal Congresso di Napoli.
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