martedì 2 novembre 2010

Boccassini & co: 4 donne “contro” B.


di Paola Zanca e Antonella Mascali

La storia di Ruby, dei suoi legami con il presidente del Consiglio e dello spiegamento di mezzi che ha portato alla sua “liberazione” dopo il fermo per un furto, è una storia di donne. Ma non sono solo la cubista minorenne, l’ex igienista diventata consigliere regionale Nicole Minetti, o la coinquilina brasiliana. Ieri, a occuparsi di quella notte di fine maggio, è arrivato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini.

Negli uffici della polizia giudiziaria di piazzetta Umanitaria ha sentito il racconto di Vincenzo Indolfi, all'epoca capo della questura di Milano. Un déjà vu per Berlusconi, suo ex imputato al processo Sme-Ariosto. Per lui aveva chiesto, ma non ottenuto, una condanna a otto anni. Dalla sua prima grande inchiesta sulla mafia al Nord, la Duomo Connection, agli anni siciliani alla ricerca degli assassini di Falcone e Borsellino, fino a Mani Pulite, Ilda Boccassini indaga da trent'anni sulla corruzione e sugli intrecci tra la criminalità organizzata e la politica.

Per capire di che pasta è fatta, al processo Imi-Sir-Lodo Mondadori, che rischiava di essere trasferito a Brescia, per effetto della legge Cirami sul legittimo sospetto, decise di pronunciare una requisitoria alla rovescia: si è aperta con le richieste di condanna, di solito pronunciate alla fine. Perché quei nomi e cognomi degli imputati (Previti e i magistrat Metta e Squillante, che avevano “tradito la Costituzione”) lei sentiva il dovere di pronunciarli subito.

Ma la Boccassini non è l'unica donna che nel Ruby-gate gioca un ruolo determinante. Ce ne sono altre tre. Il travagliato fotosegnalamento di quella minorenne fermata, è toccato al commissario capo Giorgia Iafrate. Trent'anni, una laurea in Giurisprudenza, sta prendendo la seconda in Diritto pubblico dell'economia. Nata a Frosinone, è in servizio a Milano solo da fine marzo. E da allora le è successo di tutto. Non è una a cui manca l'ironia, tanto che qualche amico si chiede se avere a che fare tutti i giorni con delinquenti di varia natura, non le possa far perdere la sua “gioia di vivere”. Tre settimane fa è in largo Caccia Dominioni a prelevare Morris Ciavarella, l'uomo che ha mandato in coma irreversibile il tassista colpevole di aver investito un cane. Nella notte tra il 27 e il 28 maggio è lei che il capo di gabinetto della questura chiama per dire che la minorenne va lasciata libera, è lei che spiega ai colleghi che la ragazza dicono sia la nipote di Moubarak, è lei che raggiunge “l'accordo” con il pm di turno minori per affidare Ruby a Nicole Minetti, ancora lei che poco dopo quel verbale di affidamento si rifiuta di firmarlo. Una notte di ordini e contrordini, di telefonate convulse. Alle 9 e 12 del mattino successivo, su Facebook la descriverà così: “Follia pura”. Ora è pronta al “faccia a faccia” con chi insinua che abbia mentito al Tribunale: su lasciare Ruby nella mani della Minetti, dice, erano tutti d'accordo: “Sfido chiunque a dimostrare il contrario”.

Il pm di turno, quella notte era Annamaria Fiorillo. Chi la conosce bene racconta che in questi giorni è arrabbiata, anzi “ inc... nera”. Non ci sta a passare per un magistrato che ha scavalcato le leggi, che ha concesso privilegi, solo perché il presidente del Consiglio ha chiamato in questura quella sera. Molti avvocati milanesi la descrivono come un magistrato di lunga esperienza, affidabile, “tosta”, che non si fa intimidire. Chi la frequenta per lavoro, dice che dopo tanti anni di professione, è diventata anche “una mamma, una psicologa”. Alle udienze “fa le prediche ai ragazzi accusati di vari reati – racconta un avvocato sorridendo – Crede che sia possibile un loro recupero. Vuole che abbiano una possibilità”. Ha un carattere opposto il capo di Annamaria Fiorillo, il procuratore Monica Frediani. “Severa”, “formale”, “asettica”. Sono questi gli aggettivi usati da chi la conosce. Ma anche “seria”, “preparata”, “molto professionale”. È lei che ha inviato al procuratore di Milano Bruti Liberati una corposa documentazione su quella notte. Un fascicolo che sembra confermare quanto trapelato dal Tribunale dei minori: il pm Fiorillo non ha mai autorizzato Nicole Minetti a portarsi via la ragazza marocchina. Ma questa volta il premier non può dire che ancora una volta ha a che fare con una toga rossa. Frediani è vicina ad Unicost, la corrente moderata dei magistrati. Anzi, alcuni suoi colleghi dicono che è una “berlusconiana perbene”. Quando le dichiarazioni del ministro Maroni sulla schedatura dei minori rom scatenarono un putiferio europeo, Frediani dichiarò che non capiva “tutto questo clamore”. E da capo della procura dei minori a Milano si è resa protagonista di un giro di vite sull'articolo 31 della legge sugli immigrati che consente a un genitore senza documenti di restare in Italia per il bene del figlio che va a scuola.

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