GIORGIO MELETTI
Omicidio colposo: i pm chiedono il processo per i vertici della raffineria dei Moratti. Tre operai asfissiati in una cisterna. Per
Cagliari – Omicidio colposo plurimo, per essersi resi responsabili, con i proprio comportamenti omissivi, della morte di tre operai, Daniele Melis di 29 anni, Bruno Muntoni di 58, Gigi Solinasdi 27. Con questa accusa
Dal direttore alla ditta in appalto
In particolare, i pubblici ministeri Emanuele Secci e Maria Chiara Manganiello chiedono il processo per il il direttore generale della Saras, Dario Scaffardi, per il direttore delle operazioni industrialiAntioco Mario Gregu, per il direttore della raffineria Guido Grosso e per il dirigente responsabile dell’area dove sono morti gli operai, Antonello Atzori. I magistrati, guidati dal procuratore della Repubblica di Cagliari, Mauro Mura, chiedono il processo anche per Francesco Ledda, legale rappresentante della Comesa, la ditta appaltatrice delle manutenzioni per la quale lavoravano i tre operai morti, due dei quali (Melis e Solinas, i più giovani) erano precari.
In più è chiamato all’udienza preliminare per il rinvio a giudizio anche Gian Marco Moratti, presidente e legale rappresentante della Saras, in quanto anche la società in quanto tale è coinvolta nel processo, per la legge 231 sulla responsabilità delle persone giuridiche nei fatti penali. La lista delle richieste di rinvio a giudizio sintetizza il percorso dell’inchiesta, che ha visto spostarsi verso l’alto, con il passare dei mesi, le responsabilità. Giannino Melis, il caposquadra della Comesa cui faceva capo Solinas, è stato indagato per un anno ed è uscito dall’inchiesta alla fine dello scorso giugno. Alla stretta finale è stata archiviata anche la posizione del capocantiere della Comesa Vincenzo Meloni.
Per capire le ragioni che hanno indotto la procura di Cagliari a chiedere il processo per due dei massimi dirigenti Saras, che lavorano negli uffici di Milano, a un migliaio di chilometri dalla raffineria, bisogna ripercorrere la dinamica dell’incidente. Il 26 maggio 2009, alle 13,50, Gigi Solinas, che era stato incaricato di entrare dentro la cisterna D-106 (ferma per manutenzione) per pulirla, si è affacciato alla via d’accesso senza potersi rendere conto che la cisterna stessa era satura di azoto: non c’era neppure un cartello. Respirando azoto puro, Solinas è morto in pochi secondi. Muntoni prima e Melis poi sono morti entrando nella cisterna per soccorrere il compagno. Non c’era nessun avviso di nessun genere per avvertire che quella cisterna era satura di azoto, un gas inodore e incolore. Secondo i risultati dell’inchiesta, i tre non erano dotati neppure del rilevatore di ossigeno (decisivo nei lavori di questo tipo) perché non era previsto nel capitolato dell’appalto dato alla Comesa dagli uffici milanesi della Saras.
I pubblici ministeri hanno scritto nell’avviso di conclusione delle indagini che i vertici dell’azienda hanno omesso “di esplicare i doverosi compiti di pianificazione, di presidio e di accurata vigilanza resi necessari dalla natura non ordinaria dell’operazione di bonifica dell’accumulatore”, e hanno anche trascurato le “adeguate azioni di cooperazione, di informazione e di coordinamento”.
Le misure non adottate
Dalla puntigliosa, dettagliatissima relazione del consulente della procura di Cagliari, Salvatore Gianino, i magistrati dell’accusa hanno tratta la convinzione che proprio i massimi vertici della società petrolifera “non adottavano tutte le misure idonee a prevenire gli incidenti rilevanti e a limitarne le conseguenze”. La relazione di Gianino fa risalire la morte dei tre operai, tutti originari del piccolo comune di Villa San Pietro, a pochi chilometri dalla raffineria, a ben dieci violazioni contemporanee della legge 81 del 2008 sulla sicurezza del lavoro. Secondo i pubblici ministeri è inevitabile il sospetto, o comunque l’ipotesi, che una condotta così disinvolta sia stata seguita dai vertici della Saras perché “così procedendo, riducevano i tempi – e conseguentemente i costi – della fermata dell’impianto”. L’udienza preliminare si terrà nei primi mesi del 2011.
Nel frattempo i fratelli Gian Marco e Massimo Moratti, azionisti di controllo della Saras, dopo aver assegnato alle tre famiglie colpite una rendita di 2.500 euro al mese per vent’anni, hanno chiesto alle stesse famiglie di avanzare una richiesta di risarcimento.
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