di Marco Travaglio
Silvio, te l’avevamo detto. I soli di cui puoi fidarti siamo noi, che di te abbiamo già detto e scritto tutto quel che c’era da dire e da scrivere. Noi che Wikileaks ci fa un baffo. Noi che seguiteremo a volerti bene anche quando l’ultimo servo ti avrà voltato le spalle. Manca poco a quel giorno, ora che si scopre come il complotto di Assange sia un penoso autocomplotto e persino Letta (Gianni, s’intende) e Cantoni affiorano tra le fonti degli Usa.
Mentre lui passava il tempo a sventare i complotti del Pd (figuriamoci), di Fini, delle toghe rosse e delle penne giustizialiste, un esercito di serpi in seno ingrassavano in casa sua, pronte a spifferare tutto appena girato l’angolo, mordendo la manina che le nutre. È vero che, circondandosi di certa gente, è il minimo che possa capitare.
Giuliano Ferrara raccontò che negli anni ‘80 faceva la spia a pagamento spiattellando alla Cia tutto quel che sapeva del povero Craxi. Mettersi in casa gente così non è il massimo dell’astuzia. Ma la generosità dell’ometto è nota: dimentica tutto, sperando che gli altri facciano altrettanto con lui. È il caso di Letta-Letta, del quale non s’è mai saputo se sappia più cose di B. o se B. sappia più cose di lui.
Ma Cantoni? Nel '93 era un uomo finito. Arrestato per corruzione e bancarotta, dovette patteggiare la pena. In un altro paese sarebbe scomparso dalla circolazione. Invece B. se lo portò in Senato e lo riempì di prebende, dalla presidenza della commissione Difesa a quella della fondazione Fiera di Milano. E quello per sdebitarsi – secondo le rivelazioni di Wikileaks – spettegolava con l’ambasciata Usa sulle sue precarie condizioni psicofisiche. Ma non per averlo nominato senatore, bensì per i festini che lo rintronano e lo portano a vedere complotti dappertutto, persino dietro Noemi Letizia (la celebre Agente Zerozerotette).
Intanto Letta-Letta soffiava all’orecchio dell’ambasciatore Thorne che B. è “fisicamente e politicamente debole”, “senza energie” e dopo l’attentato di piazza Duomo “era caduto in depressione”. Non che Thorne non se ne fosse accorto da sé: nel primo incontro dopo l’insediamento, lo vide appisolarsi mentre gli parlava; un’altra, visitandolo dopo il vile lancio della statuetta, lo trovò “bendato e con abrasioni” in pieno delirio, mentre vaneggiava di “un suo progetto per la formazione dei futuri leader del Paese” da affidare a docenti del calibro di Putin. E, a proposito di Silvio e Vladimir, un altro “contatto all’interno dell’ufficio del premier” gli raccontò che “a ogni incontro si scambiano regali sontuosi” come fidanzatini di Peynet. Così gli americani tentarono di guastare la love story con “un’offensiva diplomatica con figure chiave dentro e fuori il governo italiano e il Pdl”. E subito “alcuni esponenti Pdl in privato han cominciato ad avvicinarsi, manifestando il loro interesse a calmare la ‘passione’ di Berlusconi con Putin”.
Battaglioni di badanti del Pdl si proponevano di far divorziare Silvio e Putin. Ora che il pover’ometto non può più fidarsi di nessuno, comincerà a scrutare diffidente anche i più fedeli tra i fedelissimi. A partire da Cicchitto che, a causa del cappuccio, è il primo dei sospetti. E Bondi? Siamo sicuri che quelle sue poesie spaccamaroni non nascondano cablogrammi in codice per una potenza straniera? E quel Ghedini? Siamo certi che non vada a cantarsela con
Alla fine l’unico insospettabile sarà Frattini Dry. Non per innata fedeltà, ma perché il tradimento richiede comunque un minimo di consistenza. Gli americani lo considerano un fattorino, tant’è che “veniva a conoscenza dei colloqui tra Berlusconi e Putin solo dopo che hanno avuto luogo”. Sempre l’ultimo a sapere, come i cornuti. Dunque, anche volendo, incapace di tradire.
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