di Marco Travaglio
Osservate attentamente una qualsiasi foto del cosiddetto ministro Franco Frattini: lo troverete regolarmente assorto in un’espressione spensierata, nel senso etimologico del termine (senza pensieri), lo sguardo fisso verso un punto indeterminato dell’universo e il dito indice incollato al mento nell’atto di porsi una domanda che nemmeno lui conosce (figurarsi la risposta).
Resta da capire come qualcuno possa scambiarlo per il ministro degli Esteri o, come scrivono i giornali più spiritosi, per “il capo della nostra diplomazia”.
Sia come sia, Frattini Dry ha messo a punto una formidabile strategia per contrastare Wikileaks che, parole sue, “è l’11 settembre della diplomazia” perché “vuole distruggere il mondo”.
Ha poggiato il ditino sul mento, ha riflettuto a lungo, ha rischiato l’ernia al cervello e infine ha diramato la dichiarazione di guerra: “Assange dev’essere catturato e interrogato per capire che gioco fa e chi c’è dietro”.
Nel frattempo il mondo intero deve coalizzarsi in una santa e “compatta alleanza: senza commentare, senza retrocedere sul metodo della diplomazia e senza lasciarsi andare a crisi di sfiducia”.
Nella fretta, Frattini s’è scordato di avvertire Frattini, che infatti seguita a commentare, retrocedere e lasciarsi andare a crisi di sfiducia.
Il suo panico è comprensibile. Sono anni che passa le sue giornate a redarguire la stampa internazionale che ci dipinge come siamo e a tamponare le cazzate che il Cainano semina in giro per il mondo giurando eterna fedeltà all’ultimo che incontra per strada e alleandosi con tutti ma anche con i loro peggiori nemici. Ora mancava soltanto un sito che pubblica quel che le diplomazie alleate pensano di noi. Bisogna dichiarargli guerra.
Frattini contro Wikileaks ricorda “Totò contro Maciste”, ma anche “Fracchia contro Dracula”.
L’idea di fermare la diffusione di informazioni nemmeno segrete, ma solo riservate (disponibili sui siti interni della Difesa Usa a ben 3 milioni di funzionari americani che possono spedirle in tutto il mondo in un nanosecondo), arrestando e torchiando Assange, poteva venire giusto a un Frattini. Cioè al ministro di un governo che, nell’era della comunicazione globale, pensa di oscurare le notizie giudiziarie e le intercettazioni arrestando i giornalisti e multando gli editori. O di occultare gli spionaggi Sismi e Telecom e il sequestro Abu Omar col segreto di Stato. O di fermare lo scandalo delle consulenze regalate a parenti e amici cancellandone gli elenchi dai siti dei ministeri.
È notizia di ieri che il Policlinico Gemelli sta sperimentando il trasferimento dalla carta all’iPad di radiografie e cartelle cliniche dei pazienti (cioè le informazioni più delicate e sensibili per la privacy di una persona: quelle sulla salute). E questi trapassati sono ancora lì a svuotare il mare col cucchiaino, ad acchiappare le astronavi con la retina per farfalle, ad arginare l’onda delle notizie con un paio di manette e la “compatta alleanza” dei diplomatici. Anche se Assange venisse arrestato e interrogato su “chi c’è dietro”, risponderebbe con una risata o con la prima supercazzola che gli viene in mente, anche perché diffondere documenti autentici e notizie vere non può essere reato in nessuna democrazia. E comunque, per un Assange che finisce dentro, ce ne sono già migliaia di altri pronti a prendere il suo posto e a mettere in Rete tutto quel che c’è.
Tanto varrebbe, per i politici e i diplomatici, prenderne atto e comportandosi di conseguenza. Per esempio, smettendola di raccontare balle ai concittadini e di tradire in segreto gli alleati, perché ormai il segreto non esiste più. Ci rendiamo conto che è pretendere troppo, dai B. e dai Frattini al seguito. Ma così va il mondo. Un giorno, col dovuto tatto, qualcuno spiegherà a queste giurassiche mummie che il Secondo millennio è morto e sepolto da un pezzo, e loro con lui. Così, con calma, potranno organizzare i propri funerali. Di Stato.
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