venerdì 3 dicembre 2010

B. trema: il terzo polo esiste Ed è pronto a votare la sfiducia


Fini: il governo non esiste più. E si scatena contro il Pdl. Bocchino fa i conti: con i democratici e l'Idv possiamo contare alla Camera su 317

Si scrive Wikileaks, ma si legge “Terzo polo”. E se è vero che il battito d’ali di una farfalla in un continente può produrre un terremoto in un altro, è altrettanto vero che quando all’ora di pranzo a Montecitorio si affacciano alla bouvette del Transatlantico i sorrisi smaglianti dei finiani e quelli degli altri leader reduci del vertice dei cinque partiti centristi, nello strano cortocircuito fra l’immensamente grande del villaggio globale e l’immensamente piccolo del villaggio parlamentare, tutti capiscono che, in queste concitate ore, la crisi italiana si sta alimentando anche delle rivelazioni del sito americano, che il processo di decomposizione parlamentare del berlusconismo trae forza (anche) dalla disgregazione a mezzo Internet della sua immagine planetaria.

Le 87 firme che danno il la
È un bollettino di guerra tambureggiato in parallelo sulle agenzie, quello che mette in collisione due mondi apparentemente estranei – quello della grande diplomazia, e quello della piccola algebra di emiciclo – scandendo la passione mediatica del berlusconismo. Da un lato ci sono le 87 firme apposte in calce a una mozione di sfiducia al presidente del Consiglio, che di fatto diventano l’atto di nascita di un terzo schieramento nella politica italiana. Dall’altro c’è il continuo ping pong delle rivelazioni, che produce capannelli e stupore tra i deputati. Sì, certo, nulla è ignoto, quando si parla del cerimoniale estetico del Cavaliere, della fenomenologia di “Papi” dei suoi riti e dei suoi festini: ma tutto diventa terribilmente contundente quando la fonte che lo certifica è l’apparato diplomatico della prima potenza del pianeta. Tutto si complica quando il verbo che descrive il crepuscolo del leader è “rovinare”, e l’ufficiale certificatore di queste indiscrezioni si scopre essere (malgrado le smentite obbligate) il gentiluomo di sua maestà Gianni Letta in persona. C’è qualcosa di inquietante e di mistico in questa epifania rovesciata in cui il corpo del re taumaturgo viene vagliato con il canone feroce della politica anglosassone, impietosamente raccontato nelle sue defaillance, immortalato in quegli abbandoni soporiferi che l’Italia guardava con bonaria ironia e la politica americana giudica con spietata severità.

È come se la riunione che si tiene a porte chiuse al primo piano del Palazzo, di prima mattina, nell’ufficio di Gianfranco Fini, cavalcasse e si alimentasse di questo logoramento. I “traditori”, come direbbe il premier sono tonificati e corroborati nel loro rito di passaggio dalla fronda alle barricate: ecco Pier Ferdinando Casini, chioma argentea, sorriso raggiante, e la certezza di essere il punto di passaggio fra le repubbliche (nonché uno dei principali candidati a gestire il dopo-Berlusconi da uno dei Colli alti delle istituzioni repubblicane). Ecco Gianfranco Fini, sempre più determinato, anche nelle dichiarazioni pubbliche: “La mozione non è un atto irresponsabile. Il voto anticipato lo escludo ma se dovesse accadere Berlusconi non vince”. Ecco il sorriso ineffabile di Raffaele Lombardo e del suo Mpa, il profilo scultoreo di Francesco Rutelli, miracolosamente restituito ai fasti delle leadership che danno l’impressione di determinare le sorti dei conflitti; ecco persino il ciuffo cotonato del liberaldemocratico Tannoni, che ostenta il sorriso al fluoro delle grandi occasioni, insieme all’inseparabile Daniela Melchiorre.

Il pallottoliere del finiano
Si potrà sorridere di questa variopinta compagnia, ma anche se Fabrizio Cicchitto scuote il capo, i cinque apostoli del terzo polo hanno dalla loro parte la forza dei numeri, e il potere suggestivo del pallottoliere che Italo Bocchino esibisce con impassibilità chirurgica di fronte ai giornalisti stretti intorno a lui: “I conti – spiega il capogruppo di Futuro e libertà – sono presto fatti, e potete verificarli voi stessi. Se sommiamo le firme della nuova mozione di sfiducia, alla mozione già presentata da Pd e dipietristi siamo già a quota 317. Un voto in più della maggioranza richiesta”. Possibile? Almeno sulla carta, sì, perché il conteggio, in queste ore si sta muovendo così: i deputati di Futuro e Libertà (bisogna escludere Fini, che da presidente della Camera non vota) sono 36. A loro si devono aggiungere i 35 voti dell’Udc, i 6 deputati attualmente collocati nell’Api di Francesco Rutelli, i 5 dell’Mpa e i 3 Liberaldemocratici di Italo Tanoni (questi cinque movimenti raggiungono quota 85). Ma a loro vanno sommati anche i due deputati ex Pdl del Gruppo misto (Paolo Guzzanti e Giorgio La Malfa), che hanno già dichiarato di votare la sfiducia: si arriva così a un totale di 87, più quattro astensioni già dichiarate, quelle di Svp e Union Valdotaine. Stando a queste cifre il governo si fermerebbe a 308. Tutto deciso quindi? Nemmeno per sogno, visto che gli uomini del Pdl, per tutta la sera, hanno giocato le carte della controinformazione annunciando che i sei radicali potrebbero votare per il sì (improbabile) e che almeno quattro finiani sono pronti a cambiare orientamento il giorno del voto. In questo quadro le parole di Fini sono di facile interpretazione: “Le firme dimostrano che la fiducia non c’è, mi auguro che non si arrivi al 14 dicembre”. Ovvero: se Berlusconi vuole mantenere un ruolo politico nella formazione del nuovo governo deve dimettersi prima del voto di fiducia. Ma il leader del centrodestra non è intenzionato a farlo, e Ignazio La Russa ieri dava voce alla rabbia del Cavaliere: “Non toglieremo le castagne dal fuoco a nessuno. Il 14 è il giorno della verità. Votino contro il governo, se ne hanno il coraggio!”. Al termine di un ennesimo Wiki-day, il corpo del capo, i primi passi del Terzo polo e i pronostici da pallottoliere scandiscono il conto alla rovescia fino al giorno della fiducia: la passione parlamentare diventa un capitolo della passione del leader.

Da Il Fatto Quotidiano del 3 dicembre 2010

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