mercoledì 15 dicembre 2010

CAMERA A PAGAMENTO




Il mercato dei voti, la rissa e la farsa del tricolore incorniciano una fiducia penosa. Con Berlusconi che applaude Berlusconi

di Furio Colombo

Nel giorno della conta il titolo del New York Times è profetico: “Berlusconi cerca salvezza nella sfortuna”. Infatti è proprio quello che accade. Il suo partito gli cade addosso. Pezzi di accusa, disprezzo, ridicolo rivelano un piccolo uomo vendicativo che voleva solo adulazione continua e apprezzava (apprezza) qualunque cortigiano, vero o falso, purché si prostri al momento giusto. E così, nel momento del crollo, è stato lesto nell’afferrare alcuni corrotti (non tanti, gli sono bastati cinque o sei, anche se avrebbe voluto vantarne un plotone) e tirarli contro i suoi nemici. Alla fine, tre voti in più, quanti bastano per dire ho vinto. In soli due anni Berlusconi vanta alla Camera una minima maggioranza, solo a pagamento. L’evento è spregevole eppure la giornata, per chi era in quell’aula, è sembrata storica. Lo è stata dentro un’istituzione che Berlusconi voleva abolire trasformandola in uno studio tv con scritto “applausi” e invece è stato costretto a trincerarsi sulla sua parte. Doveva rispondere allo schiaffo in faccia dei tre voti a pagamento con passaggio tra i banchi di figure rigide, senza sguardo, come guidate da un telecomando (ci sono anche coloro che si vantano della destrezza trasformista, non questi che sono apparsi e scomparsi e hanno sempre taciuto oppure hanno parlato, come Scilipoti, in un breve e scoordinato delirio) che rappresentano in modo esemplare il fallimento politico di un leader che ha finito di esistere. La risposta è stata concitata e farsesca. Come in un brutto teatro in cui manca la conclusione dello spettacolo, coloro che sono rimasti fedeli al leader hanno estratto in aula grandi bandiere tricolori, le hanno sventolate come nei varietà degli anni Trenta, le hanno indossate, hanno tentato di cantare l’inno di Mameli. La Mussolini è andata a sventolare un tricolore al posto vuoto di Fini, subito spinta via dai commessi. Un gesto malaugurante, dato il suo nome.

MA QUEL TEATRO concitato di vincitori sconfitti (“meno male che Silvio c’è”, si era umiliato a dire il deputato Cicchitto nel suo discorso) era parte di una scena più ambigua, più strana. Tutto lo schieramento della Lega, presente, disciplinato, compatto ha fatto in modo da non toccare mai il tricolore, nessuno ha aperto bocca durante la disordinata esecuzione dell’inno nazionale italiano. La loro parte di spettacolo prevedeva due ruoli. Il primo era di iniziare il grido rabbioso “dimissioni, dimissioni” contro Fini che, ho già detto, non era più in aula, mossa altrettanto insultante per la Camera e per gli avversari che avevano appena fallito nella congiura contro Berlusconi. Ma con uno scopo in più: abbattere il canto dell'inno italiano. Tutti i berlusconiani presenti (che non erano tutti coloro che avevano votato il capo, molti, fatto il dovuto, se ne erano andati alla svelta per non farsi trovare sulla scena) infatti si sono subito uniti al grido di vendetta contro Fini abbandonando il tentativo mal riuscito di cantare l’inno nazionale.

Allora i leghisti si sono spostati, come comparse ben dirette, nel Transatlantico. E hanno realizzato, nello stesso tempo, la loro parte d’insulto all’istituzione, e il loro gesto di separazione dalle retrovie di ciò che resta di An e di Forza Italia. Hanno cantato in mezzo al Transatlantico “Va’ pensiero”. Lo hanno fatto non nel modo che evocava teatro e celebrazione, piuttosto come combriccola di buon umore incoraggiata dal passaggio di un bicchiere. In questo senso un comportamento improvvisato e offensivo è diventato la Storia. Dopo Mussolini e il ritorno alla democrazia, il Parlamento non era mai stato umiliato in un modo così evidentemente preparato con cura. Ecco che cosa bisogna notare. La scena di occupazione della Camera, di impossessamento del tricolore, di esproprio dell’inno nazionale – e l’occasione offerta alla Lega di rappresentare la secessione nel Parlamento Italiano – è stata pensata e realizzata, insieme e in onore di ciò che resta del governo, da ciò che resta della maggioranza, che adesso è gravemente amputata e si regge sulla stampella costosa di pochi transfughi, figure ignote di una avventura squallida.

Ci sono scene che resteranno nella memoria di chi era in Aula, come flash di uno strano spettacolo.

Di Pietro. Parla per il suo gruppo e dice, come è inevitabile, se il discorso riguarda Berlusconi, la parola “magistratura”. Lo dice una volta sola, ma Berlusconi all’istante scatta in piedi, fa il gesto della maledizione, urta Frattini che non è veloce ad alzarsi ed esce quasi di corsa. Sembra Blob, data la coincidenza fra la parola e la fuga. Eppure una buona parte di quelli che poi, come partigiani della Val D’Ossola, si legheranno il tricolore al collo, adesso lo seguono ed escono per lo sdegno evocato dalla parola infame, magistratura.

BERSANI ha lo slogan più efficace: “Guardi che lei si è ribaltato da solo” e l’applauso più lungo di una opposizione che finalmente c’è e infatti sta quasi per farcela. Ma dieci anni dopo. Resta il mistero di Calearo. È un mistero modesto come lui, ma a chi vorrà raccontare un giorno che era stato eletto nel Pd e se n’è andato al primo richiamo di Berlusconi? Quali ragioni dirà che oggi non ha detto? Ha una buona azienda. Dite che non poteva garantirsi da solo la normale lealtà, anche se costosa, in una legislatura che comunque sarà breve? Da ricordare, nel giorno del tricolore sfregiato da un partito che lo ruba agli altri italiani, nel giorno in cui la Lega sta alla larga della bandiera italiana perché sente l’aria degli ultimi giorni e vuole farsi trovare secessionista dopo aver avuto in mano polizia e governo, Berlusconi che applaude se stesso riconoscendosi nella grandiosa effige fatta, di lui, dal suo dipendente Cicchitto. Da ricordare il triplice anello intorno al Parlamento di tutti i tipi di polizia con tutti i mezzi disponibili. Il teatro è teatro e ha bisogno di simboli. I simboli del conflitto provocano conflitto. Ma come fai a non chiederti: si fermeranno qui nella difesa blindata del loro capo sfiduciato (se non fosse stato per tre voti a tariffa)?

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