mercoledì 15 dicembre 2010

LO SCONTRO FINALE HA DUE PERDENTI


Fli si sfilaccia, la maggioranza è risicata

di Luca Telese

Un duello feroce, spietato, infinito, verticale. Ieri Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi si sono sfidati senza guardarsi, separati da pochi centimetri - in verticale - ma in realtà da un abisso. Fuori scontri furibondi, zona rossa, fumo nero a un passo dal Parlamento. Ma dentro Montecitorio nessun rumore di fondo arriva all’orecchio dei deputati, solo il clangore della sfida senza tregua.

La prima scena che resta sul taccuino è quella finale, i trenta passi di Silvio Berlusconi nel Transatlantico. Dovrebbe essere il giro d’onore di un re taumaturgo che si gode l’ennesima vittoria. In realtà sembra una passeggiata nel nulla: gli occhi sono spalancati, l’espressione è interdetta, il sorriso si accende e si spegne sul volto, in modo meccanico, come una lampadina che si sta per fulminare. Pochi istanti prima, invece, Fini corre tagliando il Transatlantico come una freccia, un capo guerrigliero in una ritirata strategica. Silvio Berlusconi ha vinto la battaglia, ieri, ma ha perso la guerra. Il suo governo ha la stessa maschera di cera del suo sorriso, le ore contate. Fini ha perso la battaglia, ma continua a combattere: staccherà la spina presto. Entrambi i gladiatori sono in grado di ferire l’altro, nessuno ha la forza di infliggere il colpo di grazia.

La seconda scena è il capannello intorno a Roberto Maroni alla buvette. Scherza, ma nemmeno tanto, il ministro dell’Interno: “È una regola di questi anni, infallibile. Se il Milan va bene, i governi di Berlusconi vanno male. Se il Milan va male, Berlusconi va bene”. E come va il Milan quest’anno? “Benissimo”. Si ride. Altra perla, Roberto Calderoli, ingiacchettato di verde Padania. Sospira, prima del voto, l’uomo forte della Lega: “Ho confidato nella luna piena”. Possibile? Riti drudici. Esercizi scaramantici? Macché, lotta contro il pallottoliere: “C’erano tre gravide, e tutte e tre avevano annunciato il voto per l’opposizione, ho sperato ardentemente in una fase lunare che favorisse... i parti. Purtroppo la luna non c’è stata d’aiuto”. Battute, certo. Ma tutti capiscono che la Lega guarda già oltre il governo. Folgorante la sintesi di una vecchia volpe come Paolo Cirino Pomicino: “Berlusconi ha giocato tutte le sue carte per vincere, ma il vero paradosso è tutto qui. La violenza che ha dovuto mettere in campo per portare a casa questo risultato, produce l’energia che impedirà che si possa ricucire con Futuro e Libertà, e anche con l’Udc, dopo la fiducia. Il voto che lo salva - insomma - è anche quello che lo condanna”. Se li guardi in aula, i duellanti ti rendi conto quanto sia vero. Gli incarnati dei due leader parlano meglio di ogni cosa. Fini sembra scolpito nella cera, tende all’impassibilità. Regala un sorriso solo al vecchio combattente Mirko Tremaglia, che passa sotto il suo banco, agitando verso di lui il bastone dopo aver gridato il voto al segretario d’aula: “Sì!”. Tremaglia è malato di Parkinson da tempo, il suo gesto di passione politica, comunque la si pensi, strappa qualche applauso persino sui banchi del Pdl. Ma quando si chiude questo lampo di pace è guerra.

Antonio Di Pietro, piantato nel centro del Parlamento insieme con Maurizio Zipponi, escogita un’ingegnosa strategia difensiva per mettere in difficoltà i due deputati che lo hanno tradito, sedotti dalla sirena del Cavaliere. I “tre tenores”, infatti, avevano annunciato, come spiegava Calearo: “Io non partecipo alle prime due chiamate. Così se non sono determinante mi astengo...”. Apriti cielo: Di Pietro scorre l’elenco dei suoi deputati, ne chiama due: Zazzera, Rota... Voi due restate in aula, ma non rispondete all’appello!”. È una trovata che ha qualcosa di geniale. Sottrarre due voti certi fa saltare i conti di chi calcola come spendere il suo voto. Così sia Calearo, che Razzi che Scilipoti sono costretti ad uscire allo scoperto e a votare al secondo giro, tra gli applausi del centrodestra. Durante il voto Fini diventa una sfinge, Berlusconi invece se ne sta in piedi, davanti al banco del governo, come un capo del commando in Curva. Si potrà dire qualsiasi cosa, di questa giornata, ma non c’è dubbio che il Pdl vince perché il Caimano non molla la presa fino all’ultimo. Se parli con transfughi come l’onorevole Grassano - una vita da consigliere comunale ad Alessandria, poi approdato fra i liberaldemocratici, poi berlusconizzato - scopri che B. ha trattato con loro fino all’ultimo momento utile, ieri: “Mi ha assicurato che farà il federalismo.... Sapeva tutto della mia disavventura giudiziaria.... Sa che io sono uno che non si è piegato davanti ai magistrati”. Bello. L’ultimo paradosso, in questa serata di furia, di cori e di tricolori agitati in aula, di piccole icone epiche, come quella di Giulia Bongiorno che vota in sedia a rotelle, è che il calciomercato di Berlusconi ha prodotto una vittoria parlamentare. E che il lavorio tecnicamente magistrale del terzo polo aveva partorito una sfiducia virtuale. È furibondo Luca Barbareschi , quando esce: “Ha vinto Berlusconi dite? Sì, ma con i voti di gente che dovrebbe stare in galera!!!”. Il duello fra le due maschere di cera, il volto gonfio di Berlusconi protetto da due cordoni di commessi mentre non si capacità di quello che è successo, il viso scuro e le guance arrossate di Fini mentre torna nel suo quartier generale sono l’emblema di una sfida fratricida. Stasera Berlusconi vince, per la prima volta nella storia, arruolando sei deputati eletti nel centrosinistra. In questo ha ragione Italo Bocchino: “Il vero ribaltone lo ha fatto lui”.

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