giovedì 9 dicembre 2010

Come abbatto un governo

Martino getta ombre sulla caduta di Prodi e parla della compravendita dei parlamentari per Berlusconi. Il sospetto è che il sistema della nuova p2 faccia perno sulle donazioni di imprenditori "estranei" alla politica

Proprio quando si ricomincia a parlare di compravendita di parlamentari da parte di Berlusconi rispunta l’ombra della vecchia indagine per corruzione a carico del premier. Uno degli arrestati dell’inchiesta sulla P3, Arcangelo Martino, il 18 agosto scorso ha puntato il dito contro il Cavaliere. Il suo è un verbale che la Procura di Roma sarà costretta a valutare con grande attenzione perché combacia con le vecchie ipotesi accusatorie sulla corruzione dei senatori del centrosinistra per far cadere Prodi.

Il rappresentante degli italiani in Oceania, Giovanni Randazzo, era stato avvicinato da Berlusconi per convincerlo a lasciare la maggioranza proponendogli seggi e poltrone. Randazzo aveva raccontato anche che un imprenditore gli aveva offerto molti soldi per abbandonare il governo al suo destino. Ora Martino illumina sotto una luce diversa quella vicenda impolverata. L’ex socialista arrestato come regista dell’associazione segreta che mirava a influenzare i giudici in favore di Berlusconi e a fare affari in proprio, ha deciso di collaborare con la magistratura. Secondo il racconto fatto al pm Giancarlo Capaldo, l’ex assessore del Pdl Ernesto Sica, avrebbe spinto un imprenditore amico a offrire soldi al diniano Giuseppe Scalera e ad altri senatori in bilico per passare con Berlusconi. Sica, secondo Martino, conservava le prove per ricattare il premier e le avrebbe usate per farsi nominare assessore in Campania nella giunta Caldoro.

“Sica mi incontrò al bar Riviera di Chiaia ed era particolarmente agitato”, ha raccontato Martino a Capaldo. Il giovane politico voleva scavalcare nella corsa a governatore, gli altri potenziali sfidanti Caldoro e Cosentino. “Sica mi disse che aveva il diritto ad ottenere la candidatura a presidente della Campania perché”, prosegue Martino nel suo verbale del 19 agosto 2010, “Berlusconi gli doveva molto”. Il procuratore aggiunto Capaldo si incuriosisce: cosa permetteva a un oscuro sindaco di Pontecagnano, di pretendere dal Cavaliere addirittura la presidenza?. “Sica disse che conosceva bene Berlusconi e che aveva dormito a lungo a via del Plebiscito (residenza romana del premier, ndr) da cui era stato allontanato per gelosia da Paolo Bonaiuti e dall’avvocato Nicolò Ghedini”.

Dopo questi pettegolezzi sul clan che conosce i segreti dell’appartamento presidenziale, finalmente Martino svela l’asso nella manica del sindaco: “Sica disse che Berlusconi doveva a lui la caduta del governo Prodi, in quanto egli si era adoperato con l’aiuto di un imprenditore amico di Sica e ben conosciuto da Berlusconi a convincere previo esborso di ingenti somme di denaro, alcuni senatori del centrosinistra a votare contro Prodi.
Mi fece i nomi dei senatori Andreotti e del senatore Scalera. Mi fece vedere anche dei fogli sui quali, a suo dire, erano segnati gli estremi dei bonifici al senatore Scalera e di altri parlamentari di cui non mi disse il nome”. Martino probabilmente non dice tutto quello che sa. Nel primo interrogatorio aveva negato tutto. Stavolta apre uno scenario ma poi chiude il sipario sfumando la scena, che così resta ancora più inquietante. “Sica non mi volle nemmeno dire il nome dell’imprenditore che aveva tirato fuori i soldi”.

Poi continua il suo racconto introducendo il ruolo determinante di Marcello Dell’Utri e Denis Verdini. Martino avverte Dell’Utri dei propositi bellicosi di Sica e il sindaco viene convocato immediatamente da Verdini che lo rassicura e e gli garantisce una sistemazione. Puntualmente Sica viene nominato assessore nella giunta Caldoro, posto che perderà solo quando il presidente della Campania scoprirà il complotto a base di dossier sessuali contro di lui. Martino spiega ai pm di avere appreso da Verdini che il vero sponsor della nomina era Berlusconi. E aggiunge sibillino: “Berlusconi riteneva Sica un ricattatore. Più volte Sica mi annunciò la presentazione di una denuncia sulla vicenda della corruzione dei senatori per votare contro Prodi. Ma non l’ha mai presentata”.

Queste affermazioni difficilmente potranno essere lasciate cadere dal pm Capaldo perché pongono per l’ennesima volta il problema della ricattabilità di Berlusconi e perché i riscontri sono già nelle mani dei pm. Nelle due indagini nate a Napoli nel 2007 su Berlusconi e poi archiviate a Roma, (sulla corruzione di Saccà e di Randazzo) infatti, ci sono altri due casi nei quali l’allora leader dell’opposizione sembra avere seguito uno schema simile. Funzionava così: un fidato collaboratore di Berlusconi contattava un imprenditore terzo e insospettabile che offriva denaro o altri vantaggi a un senatore del centrosinistra per abbandonare Prodi. Lo schema del caso Randazzo (secondo la versione del senatore non ritenuta affidabile dal pm romano Angelo Racanelli) è stato applicato anche per tentare di sedurre (senza successo) Willer Bordon . Nel primo caso Berlusconi aveva messo in pista il commercialista di Saccà, Pietro Pilello, amico di Randazzo.Nel secondo invece l’uomo messo in pista dal Cavaliere era Giancarlo Innocenzi, proprio il celeberrimo membro dell’Agcom costretto alle dimissioni dopo l’indagine di Trani. Quando Bordon non vota contro Prodi, Innocenzi commenta al telefono: “Se lo sono ricomprato”.

Ecco, basta sostituire i nomi delle due inchieste su Berlusconi nate a Napoli per ritrovare anche nel caso Sica quello schema triangolare. Se fosse vero quello che dice Martino, Berlusconi sarebbe il regista di una partita giocata su tre campi diversi con lo stesso modulo. Per dare la spallata a Prodi il Cavaliere avrebbe ordinato a Salvatore Pilello, Giancarlo Innocenzi e Ernesto Sica, nello stesso periodo, di trovare un canale per foraggiare il senatore che gli era stato affidato come preda. Al momento non risulta un’indagine sul caso della compravendita presunta da parte di Sica ma un dato va sottolineato: a differenza di Bordon e Randazzo, il senatore Scalera oggi è in Parlamento. Scalera si è astenuto il giorno della caduta di Prodi. Poi è stato eletto alla Camera ma con il Pdl. Il capo del suo gruppo, Lamberto Dini, invece quel giorno votò contro Prodi. Andreotti, un altro nome citato da Martino, a sorpresa quel giorno non si presentò.

Martino non dice il nome dell’imprenditore che ha tirato fuori i soldi ma nelle cronache dei mesi scorsi Il Fatto aveva ricordato una coincidenza: Sica era molto amico dell’imprenditore Davide Cincotti, patron della Deriblok di Battipaglia. Pur essendo molto vicino ai Berlusconi (Cincotti aveva affittato la villa in Costa Smeralda del fratello del premier) improvvisamente l’imprenditore nel 2008 decide di donare 295 mila euro al partito di Lamberto Dini. La Procura di Roma alla luce di tutto questo sta rileggendo con attenzione le parole intercettate in una conversazione del 2009 tra Sica e Martino quando il sindaco di Pontecagnano, infuriato per la mancata candidatura gridava: “Io racconto tutto dall’agosto 2007 in poi e non faccio la fine della puttana di Bari”.

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