martedì 7 dicembre 2010

Il cecchino Matteo


MASSIMO GIANNINI

"Oltre le ideologie". Nella strisciante balcanizzazione in corso all'interno del Partito democratico, prende dunque corpo una "dottrina Renzi". Il leader della fertile corrente dei Rottamatori del centrosinistra l'ha illustrata in queste ore, per spiegare le ragioni che l'hanno indotto a recarsi in visita ad Arcore, cioè nella trincea del "nemico", per ottenere dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi "un impegno per Firenze". L'intento è nobile: come ha chiarito lui stesso, il giovane sindaco del capoluogo toscano l'aveva incontrato qualche tempo fa per parlare della questione dei rifiuti, e il Cavaliere gli aveva fatto una promessa: avrai più fondi, magari addirittura una legge speciale dedicata a Firenze. Figuriamoci: quando mai una promessa è stata un problema per Berlusconi? Governa il Paese promettendo tutto a tutti da quindici anni, perché non promettere qualcosa anche a Renzi? Forte di questa cambiale in bianco, il buon Matteo ha dunque provato a passare alla cassa. Con il suo solito piglio: realistico, pragmatico. "Per il bene di Firenze vado dove mi chiamano. E anche stavolta sono andato oltre le ideologie". Ma il bene del Pd? Se ne occupa qualcuno, di questi tempi? L'iniziativa di Renzi è discutibile. Nella forma e nella sostanza.

Per quanto riguarda la forma: non c'è nulla di male che un sindaco incontri un capo di governo per parlare dei problemi della sua città. Ma i luoghi, in quanto simboli, contano. Non si può andare, cappello in mano, nella residenza privata del premier. Tanto più se si ammette che "la notizia doveva restare riservata". Ci sono tanti posti, dove le istituzioni possono e devono dialogare. A Roma c'è Palazzo Chigi, sede naturale del governo. A Firenze c'è Palazzo Vecchio, sede naturale del Comune. A Milano c'è la Prefettura, campo neutro per definizione. Ma Arcore no, ad Arcore non si può. Nell'ottobre del 2002 accusammo i vertici della Fiat (all'epoca Paolo Fresco e Gabriele Galateri) che in una piovosa domenica d'autunno si recarono in processione riservata a Villa San Martino, a prendersi gli sberleffi del premier sulla mala gestione del colosso automobilistico sull'orlo della bancarotta. Anche lì: cappello in mano, in una sede impropria e inadeguata. Oggi Renzi commette lo stesso errore. Inaccettabile, ingiustificabile.

Per quanto riguarda la sostanza: alla vigilia di un voto che probabilmente sancirà la fine di questo governo, la visita del sindaco di Firenze è quanto meno intempestiva. E dunque persino sospetta. Cosa può garantire, a Firenze, un presidente del Consiglio che tra una settimana, a quest'ora, starà forse già al Quirinale a rassegnare le sue dimissioni? Nulla, con tutta evidenza. E allora non si può non pensare che anche questa mossa di Renzi, persino suo malgrado, rientri in una più generale "strategia della tensione" che serve a destabilizzare il Pd. Non ci vuole molto, visto che il partito guidato da Bersani è esposto ormai a tutte le scorrerie possibili e a tutte le spallate immaginabili. In questo, magari anche al di là delle intenzioni, il sindaco fiorentino si sta rivelando un cecchino inesorabile. Sparare sul "quartier generale" è una sua specialità. In molti casi ha anche ragione: la campagna di svecchiamento delle classi dirigenti è un tema vero, a sinistra come a destra. Ma in molti casi ha anche torto: far fuori qualunque dirigente politico dopo tre legislature, indipendentemente dall'autorevolezza, dall'esperienza e dal contributo dato al Paese oltre che al partito, è una scorciatoia nuovista che non porta lontano.

Se confonde il "nuovo" col "nuovismo", il Pd si scava da solo la sua fossa. Per ritrovare il radicamento sul territorio, per parlare il "linguaggio della gente", per tornare a candidarsi al governo del Paese, il centrosinistra deve sapere innanzi tutto da dove viene. Quali sono i valori da salvare, dal Novecento italiano che ha espresso Gramsci e De Gasperi, Moro e Berlinguer. Quali sono i principi da ridefinire, nel programma del Terzo Millennio che esige fantasia ma ancora e soprattutto identità. Solo quando avrà spiegato questo, saprà poi dire agli italiani dove vuole andare. Andare "oltre", sempre e comunque, non serve a niente e a nessuno. Le ideologie del secolo scorso hanno prodotto tragedie, dal fascismo italiano al comunismo sovietico. Ma un manifesto politico che abbia come unico slogan l'idea di andare "oltre le ideologie" non è niente. È il vuoto. O forse è solo un altro ideologismo.
(07 dicembre 2010)

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