domenica 5 dicembre 2010

Il muro contro muro preoccupa il Quirinale


FABIO MARTINI

A nove giorni dal giorno del giudizio, i principali protagonisti della contesa politica continuano a marciare gli uni contro gli altri armati, nessuno prende un'iniziativa e il Capo dello Stato, senza dismettere il proverbiale aplomb istituzionale e senza voler interferire nel gioco, assiste a questo stallo con una preoccupazione che ha poco di rituale. Certo, per un uomo come Giorgio Napolitano, che da una vita dà un valore alle parole, anche vicende - come quella che ha visto protagonista Denis Verdini - non contribuiscono al suo buon umore. Tanto più che - dopo quel «ce ne freghiamo» scandito dal coordinatore del Pdl - al Quirinale hanno notato che la successiva smentita nella sostanza continuava a confermare l'essenza dell'invettiva. Ma con un Paese dominato da un conflitto all'interno della maggioranza che dura da tempo e si è intensificato negli ultimi sei mesi, non è certo la vicenda Verdini quella che più amareggia il Capo dello Stato.

Non è sfuggito a Napolitano quel che ha scritto nei giorni scorsi un giornale autorevole come il
Financial Times circa il rischio-contagio che potrebbe correre l'Italia: è vero che i conti italiani sono molto migliori di quelli spagnoli - ha scritto il quotidiano della City - ma il destino dei due Paesi è legato tra loro e se la Spagna chiederà il salvataggio, l'Italia rischierà grosso. In altre parole, il Capo dello Stato è assai preoccupato circa la possibilità che sul nostro Paese, in caso di prolungata crisi politica, possano abbattersi ondate di speculazione internazionale. Certo, per ora si tratta di allarmi prematuri e teorici, ma una crisi che dovesse privare il Paese di una guida politica per tre o quattro mesi, potrebbe rendere più concreti scenari che per ora sono soltanto spauracchi. E che in ogni caso, cinque giorni fa, hanno indotto il Financial Times a titolare un proprio editoriale con parole sin troppo eloquenti: «La tempesta dell'Euro fa rotta verso l'Italia». In questo contesto, al Quirinale assistono senza poter interferire ad un conflitto politico che si sta avvitando ogni giorno di più.

Dal Colle si nota che il presidente del Consiglio, in coerenza col suo temperamento e con la sua concezione della politica, sembra preferire andare allo scontro chiarificatore del 14 dicembre. Senza assumere un'iniziativa esplicita e forte, che richieda una risposta vera a chi lo sfida. Ma la stessa
inerzia sembra aver preso gli sfidanti del Presidente del Consiglio, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, abili soprattutto nel gioco tattico. Due giorni fa il Capo dello Stato aveva deciso di intervenire, sia pure con una nota ufficiosa, proprio per rispondere indirettamente a chi provava, come si suol dire, a tirarlo per la giacca. La nota del Quirinale aveva l'aria di replicare in particolare al Presidente della Camera che poche ore prima aveva sostenuto in modo perentorio che, dopo la crisi di governo (data per certa), sicuramente non si sarebbe andati ad elezioni.

E Fini, in modo enigmatico, aveva aggiunto di sapere e di non poter dire di più. Ma sui
poteri scioglimento, il Capo dello Stato sa di avere (e infatti rigorosamente mantiene) un dovere di riserbo per un motivo elementare: eventuali esternazioni - in senso favorevole o contrario - finirebbero per condizionare pesantemente il gioco politico. In questo senso si può escludere che possa ripetersi un precedente oramai dimenticato: nel 1994, poco prima della crisi del primo governo Berlusconi, Oscar Luigi Scalfaro, in visita al carcere minorile di Nisida, preannunciò che in caso di precipitare degli eventi, lui non avrebbe automaticamente sciolto le Camere. Rassicurando così i crisaioli di allora, a cominciare da Umberto Bossi. Dunque il riserbo è di rigore e in linea teorica dovrebbe coinvolgere anche gli altri rami istituzionali. Tanto più che il Presidente della Camera, in base all'articolo 88 della Costituzione, è chiamato ad esprimere il proprio parere, sia pure consultivo, sullo scioglimento delle Camere, che è comunque una prerogativa presidenziale.
Certo, oramai da qualche mese Fini quotidianamente parla da leader politico, ma non è certo colpa sua se, due giorni fa, la nota presidenziale, che avrebbe potuto essere interpretata come un
rimprovero proprio al leader della Camera, abbia finito per essere coperta in termini comunicativi dal me ne frego di Verdini.

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