UGO MAGRI
Dunque pare confermato: i numeri per tenere in vita il governo al momento non ci sono. Quanti sostenevano il contrario come un dogma incontestabile ora si mostrano più prudenti. Al massimo sperano, confidano, formulano l'auspicio che i voti mancanti saltino fuori di qui al giorno della fiducia... Il primo a non fidarsi affatto risulta proprio Berlusconi. Con l'atteggiamento di chi «adesso me ne occupo io perché altrimenti finisce male», il Cavaliere ha avocato a sé tutti i contatti con quei deputati di opposizione che martedì 14 dicembre, gli hanno suggerito Verdini e
Weekend di contatti che nell'entourage certe gole profonde confermano e di certo Silvio negherà, poiché ufficialmente lui non si abbassa a corteggiare i «peones» e in effetti sono faccende vischiose (due mesi fa Razzi, deputato Idv, sostenne che qualcuno aveva promesso di pagargli il mutuo di casa se avesse cambiato sponda). Berlusconi si attaccherà personalmente al telefono, come già fece per Ruby con il questore di Milano, perché qui c'è da decidere in fretta: un conto è se lui può sperare di farcela, altra cosa sarebbe se dai sondaggi il destino risultasse segnato, e lui stesso lo toccasse con mano. Nel qual caso prenderebbe forza il partito di quanti, nel Pdl, scongiurano il Cavaliere di trattare un armistizio prima del patatrac. E' un partito che lievita di ora in ora e si richiama alla saggio mandarino cinese, Gianni Letta. Che cosa sostengono queste «colombe»? Non certo di sostituire il premier con Tremonti oppure con Letta medesimo (sebbene qualcuno in cuor suo ne sarebbe lieto). Berlusconi deve restare premier.
Su tutto il resto si può intavolare qualche ragionamento. Fini chiede una nuova agenda economica, di riscrivere la legge elettorale, ovviamente di mettere mano alla struttura del governo per far posto ai centristi Udc. La controproposta dovrebbe essere, secondo i fautori del negoziato: parliamone e vediamo. I conti pubblici non consentono margini di manovra, figurarsi come reagirebbe Tremonti! Però qualche forma di patto sociale potrebbe risultare di aiuto, e comunque darebbe una soddisfazione d'immagine ai futuristi. Quanto alla legge elettorale, cambiare il «Porcellum» non è tabù, una cautissima disponibilità viene manifestata da Cicchitto, che mai parla a vanvera. Tutto sta a capirsi: Berlusconi forse accetterebbe di mettere un tetto al premio di maggioranza, purché questo scatti quando una coalizione supera il 35 per cento, al massimo il 40, non certo il 45 che chiede Fini. Perché in quel caso sarebbe scoperto il disegno di stravolgere il bipolarismo a danno dell'asse tra Pdl e Lega. Ma l'ostacolo più serio alla trattativa è rappresentato dal rimpasto. Ristrutturare il governo onde far posto all'Udc vorrebbe dire, per Berlusconi, rimettere mano agli equilibri del suo partito.
Dove si scatenerebbe l'inferno. La componente ex-An verrebbe penalizzata, tra
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