domenica 5 dicembre 2010

"Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere


UGO MAGRI

Dunque pare confermato: i numeri per tenere in vita il governo al momento non ci sono. Quanti sostenevano il contrario come un dogma incontestabile ora si mostrano più prudenti. Al massimo sperano, confidano, formulano l'auspicio che i voti mancanti saltino fuori di qui al giorno della fiducia... Il primo a non fidarsi affatto risulta proprio Berlusconi. Con l'atteggiamento di chi «adesso me ne occupo io perché altrimenti finisce male», il Cavaliere ha avocato a sé tutti i contatti con quei deputati di opposizione che martedì 14 dicembre, gli hanno suggerito Verdini e la Santanché, potrebbero saltare il fosso. Tra l'altro con il primo dei due Berlusconi è imbufalito assai per quel «ce ne freghiamo» riferito a Napolitano, offeso sul piano personale. Non c'era momento meno indicato per indisporre l'arbitro della crisi: quello ti fischia contro un rigore e tu te ne vai a casa. Berlusconi non ama l'uomo del Colle, però lo teme, e perfino a lui l'uscita di Verdini è sembrata un fuor d'opera. Dunque, siamo adesso al «ghe pensi mi».

Weekend di contatti che nell'entourage certe gole profonde confermano e di certo Silvio negherà, poiché ufficialmente lui non si abbassa a corteggiare i «peones» e in effetti sono faccende vischiose (due mesi fa Razzi, deputato Idv, sostenne che qualcuno aveva promesso di pagargli il mutuo di casa se avesse cambiato sponda). Berlusconi si attaccherà personalmente al telefono, come già fece per Ruby con il questore di Milano, perché qui c'è da decidere in fretta: un conto è se lui può sperare di farcela, altra cosa sarebbe se dai sondaggi il destino risultasse segnato, e lui stesso lo toccasse con mano. Nel qual caso prenderebbe forza il partito di quanti, nel Pdl, scongiurano il Cavaliere di trattare un armistizio prima del patatrac. E' un partito che lievita di ora in ora e si richiama alla saggio mandarino cinese,
Gianni Letta. Che cosa sostengono queste «colombe»? Non certo di sostituire il premier con Tremonti oppure con Letta medesimo (sebbene qualcuno in cuor suo ne sarebbe lieto). Berlusconi deve restare premier.

Su tutto il resto si può intavolare qualche ragionamento. Fini chiede una nuova agenda economica, di riscrivere la legge elettorale, ovviamente di mettere mano alla struttura del governo per far posto ai centristi Udc. La controproposta dovrebbe essere, secondo i fautori del negoziato: parliamone e vediamo. I conti pubblici non consentono margini di manovra, figurarsi come reagirebbe Tremonti! Però qualche forma di patto sociale potrebbe risultare di aiuto, e comunque darebbe una soddisfazione d'immagine ai futuristi. Quanto alla legge elettorale, cambiare il «Porcellum» non è tabù, una cautissima disponibilità viene manifestata da Cicchitto, che mai parla a vanvera. Tutto sta a capirsi:
Berlusconi forse accetterebbe di mettere un tetto al premio di maggioranza, purché questo scatti quando una coalizione supera il 35 per cento, al massimo il 40, non certo il 45 che chiede Fini. Perché in quel caso sarebbe scoperto il disegno di stravolgere il bipolarismo a danno dell'asse tra Pdl e Lega. Ma l'ostacolo più serio alla trattativa è rappresentato dal rimpasto. Ristrutturare il governo onde far posto all'Udc vorrebbe dire, per Berlusconi, rimettere mano agli equilibri del suo partito.

Dove si scatenerebbe l'inferno. La componente ex-An verrebbe penalizzata, tra La Russa e Matteoli uno dei due dovrebbe lasciare necessariamente il governo, e non sarebbe un addio indolore. Chi tra i ministri teme di trovarsi a piedi grida, all'unisono col premier: o la fiducia o le elezioni. Per cui, contrapposto al fronte trattativista, si va coagulando l'esercito «guerrafondaio». Che ieri ha messo a segno un punto per merito di Rotondi: l'area post-dc rappresenta in Senato una decina di voti, sufficienti a impedire «qualunque governo di centrodestra che non abbia come premier Berlusconi». Il quale, inutile dire, benedice l'iniziativa.

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