Di Pietro propone il "matrimonio", mezzo Pd dice no. Obiettivo: Terzo Polo. D'Alema punta a Draghi o Monti premier, senza Idv e Sel, ma Bersani è contrario alla separazione
Addio a Di Pietro, addio a Vendola e un’alleanza col Terzo Polo in una coalizione dal sapore vagamente emergenziale, soprattutto se impreziosita da un candidato premier di nome Mario, Draghi (meglio) o Monti (se proprio l’altro non vuole). Questo è l’orizzonte strategico che accomuna buona parte del gruppo dirigente del Partito democratico – fatta una grossa eccezione per il segretario Pierluigi Bersani – all’indomani della delusione rimediata sulla sfiducia a Silvio Berlusconi. Non è il “Tutto Tranne Berlusconi” che indigna Giuliano Ferrara, ma una scelta strategica che punta ad offrire al moderatismo congenito del nostro ceto medio una soluzione chiavi in mano per uscire senza traumi dal ventennio del Cavaliere. Massimo D’Alema – che ha preventivamente dato del “mentecatto” a mezzo stampa a chi non fosse d’accordo (Repubblica di mercoledì) – si sta dando da fare sulle due sponde del problema: ha avviato un giro di telefonate con tutti i capibastone democratici e, già che c’è, chiacchiera (e non è il solo) pure col neonato Polo della Nazione. L’addio a Idv e SeL – altrimenti definibile “diversa politica delle alleanze” – è implicito nella scelta del rapporto strategico col Terzo Polo: Casini e Fini, infatti, non faranno mai nessun accordo elettorale con Di Pietro e Vendola. L’area che fa capo a D’Alema, peraltro, se lascerebbe con grande tranquillità l’ex pm al suo destino, pensa di poter recuperare il governatore della Puglia portandoselo dentro al Partito democratico. Ieri lo ha detto per la seconda volta il senatore Nicola Latorre: l’idea è avere, a sinistra, una copertura, anziché un pericoloso concorrente.
Cooptazione di Vendola a parte, completamente d’accordo è Enrico Letta, che coi suoi ha già iniziato a fare pressione su Bersani: il vicesegretario del Pd pensa che la scelta vada fatta pubblicamente entro venti giorni, più o meno al ritorno dalle vacanze di Natale, anche per non far consolidare il rapporto di collaborazione parlamentare tra Terzo Polo e PdL inaugurato ieri a Montecitorio sul decreto rifiuti. “Se noi non ci muoviamo verso Casini – spiega un deputato – rischiamo che Casini e gli altri tornino nell’orbita del centrodestra e allora noi finiremmo a fare la minoranza in una coalizione di sinistra”. Anche Dario Franceschini – il primo a proporre “l’alleanza da emergenza democratica” con Fini – condivide l’orizzonte teorico portato avanti da D’Alema, così come Beppe Fioroni e il suo inquieto gruppo di circa 35 parlamentari (molti dei quali spingono addirittura per uscire dal partito). Contrari all’opzione D’Alema, dunque, rimangono solo Veltroni, ovviamente, quelli che furono i “prodiani” e il gruppo dei Rottamatori di Renzi e Civati, tutti nostalgici di quella “vocazione maggioritaria” che doveva portare il Pd all’autosufficienza elettorale e tutti in disaccordo tra loro. In mezzo a questo fuoco di fila di iniziative sta Bersani, che non può e non vuole dire addio agli attuali alleati. La strategia del segretario è nota e la ribadirà nella direzione nazionale del 23 dicembre: unione di tutte le opposizioni, che adesso si sono allargate, per andare oltre Berlusconi. In questo agitarsi di addii immaginari, è arrivata ieri l’iniziativa di Antonio Di Pietro, a cui mancano molte cose ma non il fiuto. Il leader di Idv ha telefonato a Bersani e Vendola per dire questo: “Stabiliamo una proposta programmatica e presentiamola al Paese. Il matrimonio è pronto, sposiamoci”. Chiare le risposte. Enrico Letta: “Non c’è nessun matrimonio in vista”. Paolo Gentiloni: “La nostra bussola non sono certo le nozze con Di Pietro”. E siamo già agli addii a voce alta.
Di Marco Palombi
Da Il Fatto Quotidiano del 17 dicembre 2010
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