di FILIPPO CECCARELLI
Zitti tutti che arriva il Centro. Maiuscolo. Non ancora, certo, il Grande Centro, come pure diverse volte nel corso dell'ultimo quindicennio è stato baldanzosamente evocato da alcuni politici non sai bene se più superbi o sprovveduti.
Ma almeno che non sia il centro, stavolta. Minuscolo, in tal caso, e quindi da intendersi come astrazione geometrica di multiforme irrilevanza, spazio vacuo e fluttuante nei gorghi del più duraturo e soporifero immaginario: meste radunate di reduci nei conventi delle monache brigidine, vane rimpatriate di avellinesi attorno a una bottiglia di vino di Atripalda, interminabili documenti dell'ex banchiere Pellegrino Capaldo, comitive di leghisti cacciati in malo modo da Bossi, ex socialdemocratici in pena, massoni in sonno, non meglio precisati liberal-democratici sedotti da incoraggianti, anzi davvero eccessivi sondaggi del dottor Piepoli sulle potenzialità elettorali di questo benedetto centro, in realtà sistematicamente condannato a rivelarsi un "centrino da tavolo", e giù tutti a ridere.
Ci fu un'estate in cui Emilio Fede, probabilmente su input di Berlusconi che a quel tempo non sapeva dove andare a sbattere la testa, s'inventò un macchinoso tele-trastullo sintomaticamente battezzato "il Sudoku del Centro". Ma spiegare qui le regole di quella specie di labirinto a base di Parisi, Follini, Tabacci, Boselli e Formigoni toglierebbe un sacco di spazio ad altre epiche fantasticherie sull'inesorabile nonché imminente deflagrazione del bipolarismo, donde l'attesa messianica, tra Becket, Ionesco e il cardinal Sodano che invocava una "santa audacia".
Tutti ci hanno provato almeno una volta; Casini e Rutelli già qualche anno fa, come s'intuisce da una Rosy Bindi al fulmicotone che per l'occasione li designò: "I due piacioni brizzolati". E auguri adesso anche a Fini e agli altri della Nazione. Il centro, in ogni caso, come utopia, panacea, simulacro, desiderio, pretesto, chimera, spauracchio, mito, format e karaoke della Seconda Repubblica. "Io centro" fu il claim della campagna elettorale dell'Udc nel 2005. "Io c'esco" fu il naturale companatico allorché di lì a poco, Casini si sfilò dall'alleanza con il Cavaliere. "Centro di questi giorni" divenne a un certo punto la minaccia che gravava sul capo degli ospiti sul palco delle terme mastelliane di Telese.
Ed è davvero molto difficile, nel giornalismo politico, resistere allo scetticismo dinanzi a figurazioni retoriche, "terzo polo", "moderati", che sembrano far conto sui naturali processi di rimozione e sfruttano l'inevitabile perdita di memoria che affligge, alleggerisce e a volte addirittura commuove gli specialisti bombardati di "notizie". Per cui sì, il centro: e come calandosi in una tiepida bagnarola si viene sommersi dal Patto Segni, dalle peripezie di Buttiglione, dalle acrobazie di D'Antoni, dall'orsetto della Pivetti, dalla terza gamba dell'ulivo che Lambertow Dini trascinava in certi dolorosi vertici, detti "tavoli", a Palazzo Colonna.
Geometria negletta e riarsa di ambizioni, di frustrazioni, di tutto e di nulla.
Quello acconsente, si offre come "garzone". La politica è piena di stramberie, di ritorni, di frivolezze che rischiano di farsi terribilmente serie. "A Valmy! A Valmy!" gridano i seguaci di Cossiga in un capannone bollente al momento di dar vita all'Udr. Passano alcuni mesi e il presidente emerito presiede in pantofole una riunione con tutt'altri personaggi. Berlusconi, com'è ovvio, voleva fare un "super-centro", anzi forse l'ha già fatto. Ieri con Rutelli, Casini e Fini si sono ritrovati, dopo tanti insulti, Giorgio
(16 dicembre 2010)
1 commento:
SUDOKU! E POI SI CHIEDONO PERCHè NON LI SEGUONO! NON ERA MEGLIO DIRE "QUATTRO GATTI"?
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