di Nicola Tranfaglia
Pino Masciari è il nome di un testimone di giustizia. Una figura, creata all’ultimo momento dal governo di centrosinistra nel febbraio 2001 dal governo di centrosinistra, per difendere quei cittadini italiani che, senza aver commesso reati, hanno detto la verità e, per difendere la legge e lo Stato, hanno raccontato la loro vicenda e dato un apporto fondamentale ai processi di mafia intrapresi contro le associazioni mafiose negli ultimi anni.
Masciari è un imprenditore calabrese che la ‘ndrangheta ha fatto fallire per pochi milioni e costretto a nascondersi e ad accettare un programma di protezione scalcagnato che ha condotto lui, sua moglie e i suoi figli piccoli di un anno e due a girare l’Italia e a nascondersi in case sporche e inospitali senza lavoro e in attesa dei processi. La sua storia è davvero incredibile e nessuno in questo paese vuole raccontarla.
PINO MASCIARI, in un libro pubblicato da pochi giorni (che tutti dovrebbero leggere) da un piccolo editore (Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ’ndrangheta. Add edizioni, pp. 270, 19 euro), rievoca tutto quello che è successo dal 1994 ad oggi, i suoi viaggi da fantasma nelle case del Servizio protezione, gli inadempimenti oggettivi delle forze dell’ordine incaricate di proteggerlo senza avere dai governi i mezzi per farlo, la distruzione della vita sua e della famiglia che lo ha seguito per fuggire la minaccia dell’associazione mafiosa calabrese e presente in Italia come in Europa.
Il suo è un atto di accusa che, come è inevitabile, non può risparmiare nessuno in questa Italia che continua a subire l’egemonia del populismo autoritario. I magistrati intervengono nella storia cercando, ma inutilmente, di modificare la situazione perché le forze dell’ordine realizzano il servizio di protezione senza i mezzi necessari e la classe politica appare in gran parte lontana dalla società o impotente rispetto ai meccanismi di ferro che reggono il funzionamento della giustizia nel nostro paese.
Insomma Masciari rappresenta, con la sua vicenda, il simbolo di quello che capita a chi in Italia crede allo Stato e alla legge. Una persecuzione infinita che distrugge una o più vite, che mette in moto, con la lentezza inevitabile, processi che durano anni e portano, nel caso più fortunato, ad alcune condanne di mafiosi ma non dei loro mandanti politici che oggi sono addirittura al potere.
NEL NOSTRO PAESE si ha una concezione dello sviluppo economico ancora arretrata, che non tiene conto della necessità di collegare l’economia alla civiltà di un paese, che separa la vita dalla cultura e accetta una politica economica come quella di Berlusconi, da anni protagonista di una politica contraria all’istruzione e alla ricerca, e ritiene che si possa far progredire l’Italia senza difendere nello stesso tempo l’eguaglianza dei cittadini e la legalità costituzionale.
In una situazione di questo genere, una storia come quella di Pino Masciari, e di altri testimoni di giustizia che conosciamo appena, rappresenta un segnale più forte di altri ma ancora debole (è significativo lo scarso interesse dei grandi editori per storie come queste, come dei maggiori giornali) per mostrare al mondo la crisi italiana. Far capire che riformare
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