Il Senato approva. Urla contro la capogruppo Pd Finocchiaro
di Caterina Perniconi
La riforma dell’Università è legge. Ieri il Senato ha approvato il provvedimento voluto dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini in un clima infuocato. L’opposizione aveva deciso di interrompere l’ostruzionismo, e il via libera definitivo era stato programmato per il pomeriggio. Ma durante le dichiarazioni di voto, in diretta televisiva, la maggioranza ha cercato più volte d’interrompere la capogruppo del Partito democratico, Anna Finocchiaro. Il prolungarsi dell’intervento della senatrice ha fatto sbottare numerosi parlamentari e nell’aula si sono alzate le urla: “Basta! Basta!”.
A ZANDA ha replicato il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri: “Non credo ci siano stati comportamenti indecorosi, ma piuttosto dettati dalla passione politica. Se qualcuno però si è offeso, di questo mi scuso senz’altro perché considero l’approvazione di questo provvedimento troppo importante, un servizio alla democrazia”. Schifani, ha “preso atto delle scuse del presidente Gasparri” ricordando che è “pieno diritto di un capogruppo di esprimere compiutamente la propria dichiarazione di voto” e ritenendo quindi giusto chiedere scusa.
Il voto finale si è concluso con 161 si e 98 no. A favore hanno votato, Pdl, Lega e Fli. Contrari Pd e Idv. Astenuti Udc, Api, Mpa e Svp. Adesso la palla passa nelle mani del capo dello Stato che mercoledì, dopo il corteo pacifico degli studenti a Roma, ha incontrato una delegazione di ragazzi. A lui l’onere di decidere se firmare la legge o rimandarla con dei rilievi alle Camere.
“QUELLA universitaria è una situazione rispetto alla quale io mi limito a uno sforzo di analisi di comprensione e di confronto in termini generali – ha dichiarato Giorgio Napolitano – astenendomi dall’esprimere qualsiasi opinione di merito su scelte legislative che appartengono alle responsabilità del governo e del Parlamento”.
Chi promette battaglia è
La riforma approvata al Senato, e contestata da studenti e ricercatori, prevede innanzitutto l’ingresso degli esterni nei Consigli di amministrazione. L’articolo 2, infatti, cambia le regole della composizione dei Cda delle Università. Due o tre membri (a seconda del numero totale di consiglieri) saranno esterni reclutati “tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale”. Il rischio è la deriva privatistica ma anche la lottizzazione politica degli atenei. Nello stesso articolo si prevede che i rettori restino in carica “per un solo mandato della durata di 6 anni”. Quelli attualmente nominati saranno prorogati per un anno accademico. Due se sono al primo mandato.
UNO DEI CAMBIAMENTI più controversi è quello sulla trasformazione del ruolo di ricercatore in figura a tempo determinato. Saranno stipulati contratti di 3 anni più 2 di proroga più altri 3. Alla fine, se supereranno l’abilitazione, potranno diventare professori. Ma solo se l’ateneo avrà le risorse per assumerli. Viene quindi cancellata la terza fascia docente e i 25 mila ricercatori a tempo indeterminato presenti oggi nelle università saranno mandati ad esaurimento. Per loro una norma “toppa” con un fondo (finanziato solo parzialmente) per 4500 concorsi da professore associato. L’articolo che ha fatto insorgere gli studenti è invece il 4, quello che disciplina il diritto allo studio con delega del governo. Il ministro dell’Istruzione, “di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze” stabilirà i “criteri e le modalità” di attribuzione. Il timore dei ragazzi è quello che vengano trascurate le condizioni economiche di provenienza dello studente. E l’Università diventi un bene di lusso in mano ai privati.
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