L’inchiesta verso l’archiviazione
di Paola Zanca
Resta solo un ultimo scrupolo: sentire nuovamente il caposcorta e provare a vedere se in questi tre mesi l’autista che aspettava in macchina si è ricordato qualcosa. Altrimenti, non resta che archiviare. L’attentato a Maurizio Belpietro non c’è mai stato. Ieri, è stato Il Giornale - in un inedito attacco ai colleghi che proprio in questi giorni raccontano di un altro presunto agguato, questa volta a Fini - a descrivere gli umori della Procura di Milano. Poi, la conferma è arrivata anche da altre fonti vicine agli inquirenti: il fascicolo per tentato omicidio a carico di ignoti aperto dai pm Pradella e Pomarici probabilmente finirà sepolto in un cassetto.
PROPRIO il contrario di quel giovedì sera, era il 30 settembre, in cui Belpietro chiamò in redazione per far riaprire il giornale: “Hanno sparato fuori da casa mia - disse al telefono ai suoi redattori - Non ho capito cosa sia successo, ci sentiamo tra poco”. Ha appena sentito esplodere dei colpi fuori dalla sua porta, ma non fa in tempo a riattaccare la cornetta, che l’attentatore è già fuggito: ha provato a sparare al caposcorta ma la pistola si è inceppata, si è dileguato nel nulla dall’uscita secondaria, senza lasciare impronte, senza essere ripreso da nessuna delle telecamere della zona. È sparito per le vie di Milano, nonostante le decine di volanti subito mobilitate per la caccia all’uomo. L’identikit viene immediatamente diffuso, ma nessuno lo ha mai più trovato. Non a caso, l’indagine potrebbe essere archiviata. Ma nel frattempo, per tre mesi, ci hanno raccontato la favola del clima d’odio.
L’agguato finisce in prima pagina il primo ottobre. Giusto il tempo di ricostruire la dinamica del “misterioso episodio” ed emettere la sentenza nella seconda riga di catenaccio: “Maroni l’aveva detto: ‘Attenti all’odio’” . Sono i giorni dei titoli a cinque colonne. A Repubblica, la sera stessa, Belpietro racconta che idea si è fatto su quei minuti di terrore: “Non credo proprio che fosse lì per offrirmi un mazzo di fiori, né credo che fosse un ladro. Sì, penso proprio di essere io l’obiettivo”. Ha fatto il callo alle “minacce”, spiega, “ne ho avute tantissime , alla fine uno ci si abitua, ma questo agguato proprio non me l’aspettavo”. Lo ripete il giorno dopo a
Il teorema è servito. A esporlo è lo stesso direttore: “Quando si sostiene che un giornalista è un servo, un cane, una prostituta, un leccaculo, uno che sguazza nella merda e opera nella fogna – tuona Belpietro – certo poi non c’è da stupirsi se c’è chi mette in pratica il proposito di levare di mezzo un personaggio tanto spregevole”. Su un’altra prima pagina, quella de Il Giornale, il suo futuro socio in affari Vittorio Feltri (ora insieme sono editori di Libero) confermava la tesi, aggiornando la lista dei mandanti morali: “Belpietro, che oltre ad aver steso articoli sulla vicenda scottante di Montecarlo (...) è presto diventato un simbolo del giornalismo esecrato dai Bocchino, dai Briguglio, dai Granata, quindi da colpire. Questo è perlomeno il messaggio raccolto dal delinquente che l’altra notte ha impugnato la pistola”.
QUOTIDIANAMENTE, Libero e Il Giornale pubblicano messaggi raccolti su Facebook, dove qualche maniaco ha aperto il gruppo “Uccidiamo Belpietro”. Ed è proprio
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