mercoledì 29 dicembre 2010

L’AGGUATO A BELPIETRO E GLI SPARI SPARITI





L’inchiesta verso l’archiviazione

di Paola Zanca

Resta solo un ultimo scrupolo: sentire nuovamente il caposcorta e provare a vedere se in questi tre mesi l’autista che aspettava in macchina si è ricordato qualcosa. Altrimenti, non resta che archiviare. L’attentato a Maurizio Belpietro non c’è mai stato. Ieri, è stato Il Giornale - in un inedito attacco ai colleghi che proprio in questi giorni raccontano di un altro presunto agguato, questa volta a Fini - a descrivere gli umori della Procura di Milano. Poi, la conferma è arrivata anche da altre fonti vicine agli inquirenti: il fascicolo per tentato omicidio a carico di ignoti aperto dai pm Pradella e Pomarici probabilmente finirà sepolto in un cassetto.

PROPRIO il contrario di quel giovedì sera, era il 30 settembre, in cui Belpietro chiamò in redazione per far riaprire il giornale: “Hanno sparato fuori da casa mia - disse al telefono ai suoi redattori - Non ho capito cosa sia successo, ci sentiamo tra poco”. Ha appena sentito esplodere dei colpi fuori dalla sua porta, ma non fa in tempo a riattaccare la cornetta, che l’attentatore è già fuggito: ha provato a sparare al caposcorta ma la pistola si è inceppata, si è dileguato nel nulla dall’uscita secondaria, senza lasciare impronte, senza essere ripreso da nessuna delle telecamere della zona. È sparito per le vie di Milano, nonostante le decine di volanti subito mobilitate per la caccia all’uomo. L’identikit viene immediatamente diffuso, ma nessuno lo ha mai più trovato. Non a caso, l’indagine potrebbe essere archiviata. Ma nel frattempo, per tre mesi, ci hanno raccontato la favola del clima d’odio.

L’agguato finisce in prima pagina il primo ottobre. Giusto il tempo di ricostruire la dinamica del “misterioso episodio” ed emettere la sentenza nella seconda riga di catenaccio: “Maroni l’aveva detto: ‘Attenti all’odio’” . Sono i giorni dei titoli a cinque colonne. A Repubblica, la sera stessa, Belpietro racconta che idea si è fatto su quei minuti di terrore: “Non credo proprio che fosse lì per offrirmi un mazzo di fiori, né credo che fosse un ladro. Sì, penso proprio di essere io l’obiettivo”. Ha fatto il callo alle “minacce”, spiega, “ne ho avute tantissime , alla fine uno ci si abitua, ma questo agguato proprio non me l’aspettavo”. Lo ripete il giorno dopo a La Stampa, anche se nel frattempo ha elaborato la sua teoria: “C’è un clima che non è dei più favorevoli (…) Se racconti fatti diversi sei un nemico da abbattere, questo può eccitare qualche animo”. Un’altra notte porta consiglio, e il 3 ottobre sul Corriere della Sera, Belpietro arriva a paragonarsi a Saviano costretto a “una vita da recluso” per quello che scrive. Ha ricevuto solidarietà da tutti, dice, tranne da Di Pietro. I distinguo tra buoni e cattivi sono cominciati. Perché se innocente, e comprensibile, era l’accorata ricostruzione del direttore che si è fidato del racconto del suo capo-scorta, innocente non è il fatto che nel giro di ventiquattr'ore l’episodio di cronaca serva a saldare vecchi conti in sospeso. Quello con Marco Travaglio, per esempio, che “con la sua consueta simpatia - ricorda Libero - definì Belpietro ‘più che un cane da guardia, un cane da riporto’”; con Eugenio Scalfari “un altro maestro di tolleranza”, colpevole di aver replicato chiamandolo “un alano da riporto”; con Massimo Giannini anche lui sostenitore della tesi per cui Belpietro fa parte di “una muta famelica di cani”.

Il teorema è servito. A esporlo è lo stesso direttore: “Quando si sostiene che un giornalista è un servo, un cane, una prostituta, un leccaculo, uno che sguazza nella merda e opera nella fogna – tuona Belpietro – certo poi non c’è da stupirsi se c’è chi mette in pratica il proposito di levare di mezzo un personaggio tanto spregevole”. Su un’altra prima pagina, quella de Il Giornale, il suo futuro socio in affari Vittorio Feltri (ora insieme sono editori di Libero) confermava la tesi, aggiornando la lista dei mandanti morali: “Belpietro, che oltre ad aver steso articoli sulla vicenda scottante di Montecarlo (...) è presto diventato un simbolo del giornalismo esecrato dai Bocchino, dai Briguglio, dai Granata, quindi da colpire. Questo è perlomeno il messaggio raccolto dal delinquente che l’altra notte ha impugnato la pistola”.

QUOTIDIANAMENTE, Libero e Il Giornale pubblicano messaggi raccolti su Facebook, dove qualche maniaco ha aperto il gruppo “Uccidiamo Belpietro”. Ed è proprio la Rete che serve l’assist a Maroni per dire che “l’agguato a Belpietro non sarà l’ultimo”. I due quotidiani danno grande spazio alle dichiarazioni del ministro e anche alla sparata di Gasparri, preoccupato perché a coordinare le indagini è il procuratore Spataro: “Non è in grado di garantire l’imparzialità, mi auguro che la Procura incarichi un altro magistrato” . Nelle aule di Tribunale, è questo il punto, ci sarebbero “amici” proprio di quei giornalisti che su Belpietro hanno rovesciato “menzogne e cattiverie”: “La lotta continua di Travaglio a noi moderati”, è il titolo dell’editoriale con cui, quattro notti dopo l’agguato, Belpietro apre il suo giornale. Giovedì 7 ottobre, Belpietro è ospite di Annozero. La mattina dopo butta in prima pagina uno “Scusate se sono vivo”. Siccome non c'è stato “spargimento di sangue, né un cadavere - si indigna - gli scettici suppongono si tratti di una messa in scena”. “Come negli anni Settanta”, lo consola Il Giornale nell’ultimo scampolo di polemica finita su carta. “Giornali e politici di sinistra hanno sostenuto che l’attentato fosse inventato. Sempre così: se non sono messinscene, questi episodi vengono ridotti a bravate”. Da archiviare, come sembra intenzionata a fare anche la procura di Milano.

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