AMEDEO
Le operazioni mediatiche sono quelle che meglio riescono a Berlusconi. Batte il tasto dei nuovi arrivi nella maggioranza e mette paura agli avversari finiti per il momento in un angolo. Schiaccia a sinistra il «traditore» Fini e ai deputati dell’Udc ricorda che il loro leader Casini ha perso un’occasione d’oro: entrare nel governo dalla porta principale di ministeri e sottosegretariati. Ma quello che ora il Cavaliere teme veramente è una possibile alleanza in divenire tra il nascente terzo polo e il Pd «depurata» da Di Pietro e Vendola. Un centrosinistra di nuovo conio per dirla con un’espressione in voga un po’ di tempo fa e inventata da Rutelli. Berlusconi lo teme perché non potrà dire con tanta credibilità che i suoi vecchi partner si sono consegnati a comunisti e forcaioli. Soprattutto se il «nuovo Prodi» si chiamerà Casini, democristiano di provata fede, tra i fondatori del centrodestra.
Il suo avversario ideale è il governatore della Puglia, orecchino, gay, onestamente e dignitosamente comunista anche se postmoderno. Contro di lui il Cavaliere potrebbe dire le umane e le inumane cose, tanto rimane minoranza. Per non parlare dell’ex Tonino nazionale che ha perso l’onore politico da quando i suoi due deputati hanno salvato il nemico numero uno dell’Idv. Di Casini, che è stato all’opposizione e ce l’ha mandato proprio lui, bisognerebbe lavorare di fino per dire tutto il male possibile. Tanto più se il leader Udc sarà alla testa del battaglione democratico, che alla sua sinistra farebbe strage di voti utili non facendo scattare il 4%. E’ vero che sarebbe un’ammucchiata anche Patto della Nazione più Pd «depurato», ma per Berlusconi sarebbe una concorrenza al centro e sulle fasce moderate che non potrebbe sottovalutare. Ovviamente non può ammettere di averne paura.
Noi glielo abbiamo chiesto alla fine del vertice Ue: teme un’alleanza di questo tipo? E lui: «Non mi preoccupa perché non hanno elettori». Una risposta insolitamente breve, come se non avesse ancora messo a fuoco il problema che potrà trovarsi di fronte. Del resto un sondaggio ad hoc non ce l’ha, e quindi che può dire? Il premier è persona pratica, procede passo dopo passo. Non si pone un problema che non è andato a maturazione. Adesso è interessato all’espansione della maggioranza e i suoi messaggi si fanno incalzanti e quotidiani. Erano mesi che non si offriva ai giornalisti come in questi giorni così a lungo e in tutte le circostanze. Quando non lo fa, annullando viaggi e conferenze stampa, è perché le cose gli vanno male o sta incubando qualcosa. Da quando invece ha superato la rischiosa boa della sfiducia, nonostante possa contare solo su 3 voti di maggioranza, il premier parla a iosa (anche alle 2 di notte come è accaduto l’altra sera nella hall del Conrad).
Ieri, all’uscita vip del Justus Lipsius, è stato l’unico leader che si è fermato con i giornalisti. Si mostra sicuro, ostenta il suo ritorno a Bruxelles da vincitore. «Ditelo che non riuscite a stare senza di me. Non è facile abbattere un combattente veterano come me», ha scherzato con alcuni colleghi al vertice Ue. Colleghi che gli avrebbero fatto tanti di quei complimenti per la fiducia ottenuta da averlo imbarazzato. Del resto, ha osservato, la caduta del governo avrebbe creato instabilità anche in Europa e avrebbe fatto male alla tenuta dell’euro. «Anche questo dimostra l’irresponsabilità di una manovra per come era stata pensata e cercata di portare avanti». Ecco, per fortuna un governo a Roma c’è ancora e a Bruxelles è stato approvato il fondo permanente «salva-Stati». Ora l’euro a suo avviso è in «sicurezza irreversibile», grazie al clima di concordia tra i 27. Non è passata la proposta, sostenuta fortemente dall’Italia, di emettere eurobond. C’è la contrarietà della Merkel e di Sarkozy.
Il Cavaliere nega che ci sia uno strapotere franco-tedesco, anche perché spesso le loro iniziative incontrano la «mancata adesione degli altri Paesi». Ammette però che in Europa serpeggia ancora la voglia di «un protagonismo nazionalistico». In Italia invece deve fare i conti con il duo Fini-Casini. Li considera perdenti, soprattutto il primo, mentre per il secondo usa toni più soft, lasciando la porta socchiusa. Il suo bersaglio è comunque il presidente della Camera: è il Fli che vuole dissanguare, saccheggiare.
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