mercoledì 8 dicembre 2010

L’INDULTO OCCULTO

MARCO TRAVAGLIO

Zitti zitti, nel silenzio delle tv, della stampa e dell’opposizione, la maggioranza di centrodestra votata all’insegna della “certezza della pena” e della “tolleranza zero”, ha appena approvato un bell’indultino mascherato che farà uscire anzitempo dal carcere migliaia di delinquenti. Il ddl Alfano, approvato dal Parlamento tra il lusco e il brusco, in vigore dal 16 dicembre, prevede che i detenuti che scontano condanne definitive possano trascorrere l’ultimo anno di detenzione a casa propria (“disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno” e degli analoghi “residui di maggior pena”, esclusi mafia, terrorismo e omicidio).

Ma attenzione: già oggi i detenuti possono scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento al servizio sociale, cioè liberi.

In pratica, chi deve scontare condanne fino a tre anni sa che non farà un giorno di carcere e, se ha avuto l’accortezza di delinquere entro il maggio 2006, prima dell’indulto (sconto automatico di 3 anni), non fa un giorno di galera nemmeno se condannato a 6 anni.

Per esempio, Cesare Previti: condannato a 6 anni, ne defalcò tre per l’indulto e per gli altri tre ottenne l’affidamento alla Caritas, cavandosela con due giorni a Rebibbia. Ora, con l’ulteriore saldo natalizio targato Alfano, la franchigia sale a 4 anni (e addirittura a 7 per i reati coperti da insulto).Insomma, per finire dentro e restarci bisogna proprio fare una strage.

Oltre al danno, c’è pure la beffa per le vittime dei reati: chi li ha commessi potrà tornare a casa senza l’obbligo di abbandonare il domicilio della persona offesa o il “locus commissi delicti”. Quindi chi è finito dentro perché molestava la vicina di casa o picchiava la moglie può tornare comodamente sul luogo del delitto a scontare la pena e a ripetere il delitto.

Prepariamoci dunque all’ennesima ondata di scarcerazioni (usciranno chi dice 2 mila, chi 7 mila, chi 12 mila carcerati su 70 mila) che per giunta, non essendo accompagnata da investimenti per reinserire gli ex detenuti nella società, li porterà a tornare a delinquere, con un aumento dei reati e dell’insicurezza sociale. Il tutto a opera del centrodestra, sempre pronto ad accusare il centrosinistra di “mettere fuori i delinquenti”.

Naturalmente, come tutte le leggi di questo governo, peggio se firmate da Alfano, anche questo indulto mascherato è incostituzionale: per amnistie e indulti occorrono i due terzi del Parlamento, mentre qui han votato solo Pdl e Lega.

Quella stessa Lega che inizialmente si era opposta al ddl Alfano per bocca del ministro Maroni, che poi, alla chetichella, ha digerito tutto.

Quella stessa Lega che nell’agosto 2003, quando passò l’“indultino” (sospesi gli ultimi 2 anni di pena a chi ne avesse scontata metà, salvo reati gravissimi: 5900 scarcerati) coi voti di FI, Udc, mezza An e centrosinistra, fece fuoco e fiamme. Calderoli chiese a Ciampi di rinviare la legge alle Camere “per manifesta incostituzionalità” e al ministro della Giustizia Castelli di “riferire in Parlamento sui reati commessi in futuro da quanti verranno scarcerati grazie a questo squallido indulto mascherato. Le recidive saranno molte ed è giusto che il popolo sappia quali reati verranno commessi ai suoi danni grazie a questo provvedimento e a chi lo ha promosso”.

Castelli tuonò: “Da ottobre ritroveremo in cella ospiti che avevamo appena liberato e in 12 mesi la popolazione carceraria sarà quella di prima. Ma abbiamo un programma epocale per costruire e aprire 23 nuove carceri”.

Anche Mantovano (An, oggi Pdl) denunciò: “Così la certezza della pena diventa ancora più flebile: l’indultino contribuirà a rafforzare la convinzione che tutto sommato a commettere reati anche gravi non si paga poi un costo così elevato”.

Naturalmente, del mirabolante piano Castelli e Alfano per costruire nuove carceri, non s’è mai saputo nulla. E rieccoci, nel 2010, a metter fuori qualche migliaio di criminali. Stavolta, di nascosto.

Complimenti alla maggioranza e anche, scusandoci per il termine un po’ forte, all’opposizione.

7 dicembre 2010

Ma nelle carceri non cambia nulla

di Patrizio Gonnella *

Nelle ultime settimane mi è capitato varie volte di esprimere giudizi in pubblico sulla legge di recente approvata che consente di scontare l’ultimo anno di pena in un regime di detenzione domiciliare. Ho letto e riletto i contenuti di quel provvedimento e ho avuto modo di verificare che risulta sostanzialmente inutile. Il sovraffollamento penitenziario rimarrà tale e quale. Oggi, ricordo a Marco Travaglio, la popolazione detenuta è composta da quasi 70 mila detenuti, mentre i posti letto sono 44 mila. Ci sono quindi 26 mila persone accampate in celle di fortuna. Per tutti i detenuti il dettato costituzionale (pena umana e funzionale alla rieducazione) è oramai un mito. Si è costretti a vivere in non più di tre metri quadri a testa (così violando le norme internazionali) bagno alla turca compreso.

PARTO dai punti di dissenso con l’analisi fatta ieri da Marco Travaglio:

1) Non tiene conto che quelle poche migliaia di persone (e non delinquenti come lui li chiama) che usciranno dalle nostre malmesse prigioni sono nella maggior parte dei casi i detenuti-tipo che abitano le nostre carceri, ossia poveri, disagiati sociali e psichiatrici, tossicodipendenti, stranieri. Fra loro non vi sono né mafiosi, né assassini, né narco-trafficanti, né pedofili né colletti bianchi. Di questi ultimi, d’altronde, non vi è traccia nelle patrie galere;

2) L’indulto non è stato un insulto ma un “eccezionale” provvedimento di clemenza che avrebbe dovuto essere usato – come affermò il presidente della repubblica Giorgio Napolitano all’indomani della sua approvazione – per riformare il sistema penale e quello penitenziario. La dura campagna mediatica che ne seguì ha impedito ogni possibile proposta riformatrice e ha indurito i sentimenti dell’opinione pubblica sempre più orientata verso pulsioni di vendetta piuttosto che di giustizia;

3) Va superata l’idea che le misure alternative alla detenzione (lavoro all’esterno, semilibertà , affidamento ai servizi sociali o in una comunità di recupero) siano una negazione della certezza della pena. Esse sono a loro volta una pena.

In un sistema giuridico avanzato va trovato il modo per diversificare le sanzioni. Il lavoro socialmente utile, ad esempio, è meno costoso nonché più vantaggioso della detenzione in termini di prevenzione speciale e generale. Inoltre le statistiche ci dicono che meno dello 0,2% di quelli che sono in misura alternativa commette un reato durante l’esecuzione della stessa e che chi ottiene un beneficio ripaga lo Stato con tassi di recidiva molto più bassi rispetto a coloro i quali scontano tutta la pena in galera, abbrutendosi e aumentando il proprio spessore criminale;

4) Infine, l’ultimo argomento di dissenso con Marco Travaglio, riguarda l’uso forte delle sue parole che rischiano di alimentare sentimenti di insicurezza e richieste di galera, proprio ora che le carceri sono piene di esseri umani oltre il limite del tollerabile.

L’ULTIMA cosa di cui abbiamo bisogno è legittimare o sollecitare l’opposizione anti-berlusconiana a fare l’ennesima pericolosa campagna sulla sicurezza (quella precedente di sinistra ha prodotto la lotta ai lavavetri e ai rumeni). I ricchi raramente finiscono in galera. Men che meno i colletti bianchi. Fra quei detenuti in via di scarcerazione che avrebbero potuto usufruire del provvedimento sulla detenzione domiciliare avrebbero potuto esserci: Alberto Grande, 22 anni, morto suicida nel carcere di Ancona, Giancarlo Pergola, 55 anni, morto suicida nel carcere di Foggia, Gheghi Plasnicj, 32 anni, morto suicida nel carcere di Bologna, Antonio Gaetano, 46 anni, morto suicida nel carcere di Palmi, Rocco D’Angelo, 53 anni, morto suicida nel carcere di Carinola. Solo per citare gli ultimi detenuti che si sono tolti la vita. Nessuno può accusare noi di Antigone – che da anni monitoriamo e denunciamo le condizioni di vita nelle prigioni italiane – di collusione o intelligenza col nemico berlusconiano. Questa legge però non è un indulto né un insulto. È un inefficace, provvisorio e emergenziale atto di consapevolezza della tragedia in cui versano le prigioni italiane. Una tragedia che richiederebbe ben altro coraggio politico e l’approvazione di riforme di sistema. Ne cito alcune: la introduzione del crimine di tortura nel codice penale, l’istituzione di un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione, la decriminalizzazione della vita dei consumatori di droghe, la depenalizzazione dello status di immigrato irregolare, la cancellazione di quelli leggi (ex Cirielli sulla recidiva in primis) che hanno trasformato il diritto penale in un diritto che giudica le persone e non i fatti da loro commessi.

IL PUNTO di convergenza con l’analisi di Marco Travaglio riguarda la natura sommaria e elitaria della giustizia penale ai tempi di Berlusconi (tale per colpa delle leggi ad personam ma anche di quei giudici che applicano burocraticamente le leggi mandando in galera gente come Stefano Cucchi): inflessibile con i poveri e generosa con i ricchi, clemente con chi ha un buon avvocato e inesorabile con chi si affida al difensore d’ufficio.

*Presidente di Antigone

8 dicembre 2010

La replica

Molte cose mi dividono, solo culturalmente e non moralmente, dagli amici di Antigone. Ma non la valutazione sulla situazione vergognosa delle carceri e sulla composizione classista della loro popolazione. So bene che in cella risiedono solo i poveracci. Ma dissento sulla soluzione: sono cinquant’anni che affrontiamo il sovraffollamento dei penitenziari liberando i detenuti (che sono, mi spiace dirlo, “delinquenti” in quanto condannati per gravi delitti, altrimenti non sarebbero detenuti in un paese dove, sotto i 3 anni, non si finisce quasi mai in cella). Amnistie, indulti, indultini e porcheriole come quest’ultima di Alfano, che legittimano la sfiducia dei cittadini nella giustizia e alimentano il senso d’impunità dei criminali. Poi regolarmente ci ritroviamo con le carceri strapiene: forse perché il problema non sono i troppi detenuti, ma i pochi posti cella. Gli amici di Antigone vorrebbero estendere ulteriormente le pene alternative (già applicate a 30 mila detenuti ) e depenalizzare altri reati (giusto, per il possesso di droghe leggere e per l’immigrazione clandestina, che però danno vita a detenzioni molto brevi). Io preferisco che le pene vengano scontate in carcere, ma in ambienti dignitosi e in condizioni umane. Dunque vorrei che fossero costruite nuove carceri. Questa maggioranza le promette da 15 anni e non ne ha costruita nemmeno mezza, anzi non è riuscita neppure ad attivare quelle già costruite e abbandonate. Questo, a proposito dell’indulto mascherato di Alfano, avrebbe dovuto denunciare l’opposizione, se esistesse. (m.trav.)

CARCERI – SOVRAFFOLLAMENTO: EMERGENZA INFINITA

di Luigi Morsello *

I dati del sovraffollamento sono impressionanti.

I dati del ministero della giustizia al 31.10.2010:

  • Capienza regolamentare posti n. 44.962.
  • Detenuti presenti: n. 68.795, di cui 25.364 stranieri.
  • Imputati: n. 29.986 di cui n. 12.741 stranieri.

Secondo il sito Innocenti evasioni i dati aggiornati al 22.11.2010:

  • Capienza regolamentare posti n. 43.327.
  • Capienza tollerabile posti n. 64.111.
  • Detenuti presenti: n. 69.313 di cui n. 25.311 stranieri.
  • Imputati: n. 30.029. Non da il dato degli stranieri.

Nell’anno 2010 si sono suicidati n. 61 detenuti (dati al 29.11.2010), mentre i tentativi si attestano intorno ai 900 casi circa.

Nel periodo 2000-2010 sono morti in carcere n. 1.723 persone di cui n. 621 per suicidio.

All’inizio del 2010 il “piano carceri” del ministro Alfano prevedeva:

  1. la realizzazione di 49 padiglioni nelle carceri (nuove) esistenti (da completare entro il 2010) e di n. 18 nuovi edifici modello “L’Aquila” (da iniziare nel 2011) per n. 21.709 nuovi posti letto, portando il totale a n. 80.000 posti letto, il che porterebbe a concludere che la disponibilità odierna sarebbe di (80.000 – 21.709) 58.291 posti letto. come si vede i dati della capienza sono discordanti con quelli esposti sopra;
  2. la dichiarazione dello stato di emergenza fino a tutto il 2010;
  3. interventi normativi sulla detenzione domiciliare e le pene alternative;
  4. assunzione di 2000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.

Questo piano fu approvato nel Consiglio dei Ministri del 13.1.2010.

Il 21.1.2010 soltanto il 44% risultava confermato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE).

Il Decreto-Legge 30 dicembre 2009, n. 195 consentiva la procedura di localizzazione dei penitenziari in deroga alle norme urbanistiche e a quelle su esproprio e procedimento amministrativo.

La procedura di localizzazione prevede una serie di semplificazioni:

  1. la pubblica amministrazione non avrà l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti interessati;
  2. il provvedimento di localizzazione comporterà dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituirà decreto di occupazione d’urgenza delle aree individuate;
  3. l’approvazione delle localizzazioni costituirà variante degli strumenti urbanistici e produrrà l’effetto dell’imposizione del vincolo preordinato all’espropriazione.
  4. Per le occupazioni d'urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree individuate, il commissario straordinario, prescindendo da ogni altro adempimento, dovrà redigere lo stato di consistenza e il verbale di immissione in possesso dei suoli.
  5. Contro il provvedimento di localizzazione ed il verbale di immissione in possesso sarà ammesso esclusivamente ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Capo dello Stato. Sono escluse le opposizioni amministrative previste dalla normativa vigente.
  6. Anche senza provvedimento di localizzazione o verbale di immissione in possesso, il commissario straordinario potrà utilizzare un immobile, in via di somma urgenza, con proprio provvedimento che ne motivi la contingibilità ed urgenza.
  7. Infine, in deroga all’articolo 18 del Codice degli Appalti (Dlgs 163/2006), è consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al 50%.

Non male, vero?

L’Ordinanza n. 3861 del 19 marzo 2010 della Protezione Civile che detta disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza carceri autorizza il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, nominato Commissario delegato per l’emergenza, a predisporre un apposito Piano di interventi che preveda la realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie e il potenziamento di quelle esistenti. Per la realizzazione degli interventi saranno utilizzati i 500 milioni di euro stanziati dalla Finanziaria 2010 (articolo 2, comma 219), risorse regionali fondi comunitari, nazionali, regionali e locali, e della Cassa delle ammende, tutte trasferite su una contabilità speciale intestata al Commissario. Nel giugno 2009 il Commissario Ionta, capo del Dap e commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, aveva presentato un piano da 1,6 miliardi di euro. Sul totale della somma necessaria, il piano individuava le fonti di finanziamento per circa 600 milioni di euro (500 dalla Finanziaria 2010 e 100 dal bilancio del ministero della Giustizia), mentre 980 milioni di euro erano da reperire.

Il 29.6.2010 il Comitato di sorveglianza, costituito dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal Capo del Dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso, ha approvato il Piano carceri presentato dal Commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, Franco Ionta, che via facendo è stato modificato e prevede È prevista la costruzione di 11 nuovi penitenziari e di 20 padiglioni all’interno di strutture già esistenti. I lavori dovranno essere portati a termine tra il 2011 e il 2012 e i posti in più saranno 9-10mila.

Il 24.11.2010 è stata firmata, nella sede del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, l’intesa istituzionale per la localizzazione di una nuova struttura penitenziaria nella città di Camerino.

Si tratta dell’atto che dà il via alla fase attuativa del Piano Carceri.

RICAPITOLIAMO. Si è partiti con 49 padiglioni e 18 edifici, per approdare a 11 nuovi penitenziari e 20 padiglioni. I posti-letto da realizzare sono scesi da 21.709 a 9-10mila. I fondi sono scesi da 600 milioni di euro a 200 milioni dei quali 50 a carico del

Alcuni padiglioni sono in corso di costruzione ma sono stati allocati nel campo sportivo detenuti.

Un solo nuovo carcere è al via, a Camerino, la nuova struttura, che avrà un costo complessivo di circa 40 milioni di euro per 450 nuovi posti, in 17 ettari di terreno, sarà costruita in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari.

Interventi normativi sulla detenzione domiciliare e le pene alternative; e assunzione di 2000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria sono ancora nel libro dei sogni.

Si è sgonfiato l’effetto annuncio dello spot.

E il sovraffollamento resta, perché non ne sono state corrette le cause, ponendo mano a quella normativa che lo genera.

Occorre dire per completezza che il nostro codice penale oltre ad essere ormai datato (l’ultimo progetto di riforma del 2007 non è stato mai esaminato dal Parlamento) è anche appesantito da una miriade di reati inutili (Bruno Tinti – Il Fatto Quotidiano – 1.2.2010): guida senza patente o in stato d’ebbrezza, l’utilizzo di tagliandi di parcheggio falsificati, l’omesso versamento di ritenute INPS e di imposta, l’omessa esposizione della tabella dei giochi leciti, il soggiorno illegale nel territorio dello Stato, miriade di altri pseudo-reati che dovrebbero essere sanzionati in via amministrativa, pagando una multa, proprio come si fa per la sosta vietata.

Ma non basta. Sostiene Bruno Tinti (ibidem): “per non farci mancare niente, abbiamo il processo penale più scombinato che si possa immaginare”, soffermandosi brevemente sulle varie fasi processuali, che spesso si concludono con: “una sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione”, e concludendo: “È ovvio che in questo modo le risorse economiche, materiali e umane che il Paese destina alla giustizia penale sono sprecate e che, mentre si fanno questi processi inutili, i delinquenti veri, con colletti bianchi e neri, ne fanno di tutti i colori.” Inutile dire che anche il progetto di riforma del codice di procedura penale giace dal 2007 presso il ministero della Giustizia.

Inoltre, sosteneva Tommaso Cerno (L’Espresso – 10.4.2010): “Detenuti a quota 67 mila. Superata ormai anche la tollerabilità massima. Mentre i provvedimenti del governo continuano ad affollare gli istituti di immigrati e di accusati che restano in cella soltanto pochi giorni”, continuando “il trend non lascia speranze: ne entrano ottocento in più ogni mese”.

Molto realisticamente Cerno osservava: “Peccato che, anche se i cantieri partiranno davvero e rispetteranno i tempi, da soli serviranno a ben poco. Basta un viaggio dentro l'inferno quotidiano delle galere stracolme per capire che il problema non è di strutture”, fornendo un dato agghiacciante: “È il sistema penitenziario italiano che non regge più l'ondata di ingressi. Quasi metà di quei detenuti, infatti, è ancora in attesa del processo. Sono oltre 30 mila gli imputati che restano dentro solo poche ore e la statistica dimostra che il 30 per cento di loro sarà assolto.”.

Donatella Ferrante (PD) afferma: “Molti di loro vengono arrestati e spesso rilasciati nel giro di poche ore. Il risultato è che in alcune regioni il numero dei carcerati è doppio rispetto alla capienza delle prigioni, proprio perché la metà sono irregolari in transito” e che ciò "È dovuto al cosiddetto effetto 'porta girevole', il turn over di stranieri arrestati perché privi di documenti e poi rilasciati: un viavai tanto oneroso per lo Stato quanto inutile per la collettività", “Stranieri che provengono da 140 diversi paesi, solo due dei quali hanno sottoscritto con l'Italia una convenzione bilaterale per il rimpatrio.”

Così intasano continuamente le carceri italiane.

LE CAUSE. La domanda è stata fatta a Roberto Ormanni, il quale ha dato delle risposte immediatamente comprensibili perché a questo scopo semplificate.

LA LEGGE BOSSI-FINI

Fissa dei limiti molto ristretti per l'immigrazione regolare (bisogna già avere un contratto di lavoro prima di partire) e riduce la durata del permesso di soggiorno (due anni).

In pratica da un lato non tiene conto che è davvero raro che qualcuno venga assunto a distanza senza nemmeno un colloquio, e dall'altro impone il rinnovo del permesso ogni due anni indipendentemente dalla durata del contratto.

Parallelamente introduce sanzioni penali anche per quelle violazioni precedentemente sanzionate solo in sede amministrativa.

Si realizza dunque un meccanismo secondo il quale la difficoltà di adempiere alle prescrizioni induce più facilmente alla violazione. E, inoltre, sanzionare allo stesso modo comportamenti diversi significa non già scoraggiarli, ma far ritenere "conveniente" commettere il reato più grave.

Secondo chi scrive, un rimedio possibile sarebbe quello di far durare il permesso di soggiorno sincronizzato con la durata del contratto di lavoro.

IL REATO DI CLANDESTINITA’

La legge, del 2009, che la Corte Costituzionale ha sostanzialmente confermato (ha detto però che l’essere clandestino non può considerarsi un’aggravante per altri reati: ciò in quanto le aggravanti devono consistere in un fatto ossia in qualcosa di commesso o di omesso, e non possono invece dipendere da una condizione soggettiva), prevede che chi entra senza permesso o chi si trattiene oltre il termine del permesso commetta un reato punito con una sanzione amministrativa da 5mila a 10mila euro. Il processo per direttissima spetta al giudice di pace (trattandosi di una sanzione amministrativa). E dopo il processo si viene espulsi.

La questione è duplice: in concreto si appesantisce soltanto, e inutilmente, il ruolo giudiziario. E’ infatti evidente che nessun clandestino pagherà mai nulla. Dunque l’unica sanzione “concreta” è l’espulsione. Per espellere il clandestino bastava già la vecchia legge.

L’altro aspetto della questione è teorico: ha senso o no istituire un reato di clandestinità?

A questa domanda ha in realtà risposto la Consulta confermando la validità della legge.

Appare evidente che questa tipologia di reato, che prevede solo una sanzione amministrativa, dovrebbe essere cancellata dall’ordinamento giuridico. Soprattutto ove si consideri che l’espulsione rimane praticamente priva di effetti concreti (due sole convenzione a fronte di extra-comunitari provenienti da 144 paesi).

LA EX-CIRIELLI

La legge n. 251 del 5 dicembre 2005 (c.d. ex Cirielli) modifica il codice penale per le attenuanti generiche, la recidiva, il giudizio di comparazione delle circostanze del reato per i recidivi. In particolare, diminuiscono i termini di prescrizione ed aumentano le pene per i recidivi e per i delitti di associazione mafiosa ed usura.

Tale legge viene chiamata "Ex Cirielli" perché il suo primo firmatario, il senatore Edmondo Cirielli, dopo le modifiche apportate dal parlamento la sconfessò e votò contro, chiedendo successivamente che tale legge non venisse più chiamata col suo nome.

La nuova disciplina non ha effetto retroattivo e non può essere applicata ai processi già in corso.

La Cirielli fissa i termini di prescrizione di un reato al massimo della pena edittale, cioè della pena prevista dal codice penale senza tenere conto di attenuanti o aggravanti che possono, in concreto, far aumentare la condanna sotto il minimo o oltre il massimo rispetto a quanto previsto dal codice, se superiore ai sei anni. Per gli altri reati, quelli puniti con pene fino a 6 anni, la prescrizione comunque non potrà essere inferiore a sei anni se si tratta di un delitto e quattro anni se si tratta di reati contravvenzionali.

In precedenza la prescrizione si calcolava in scaglioni di cinque anni a seconda della fascia a cui apparteneva la pena massima del reato contestato: fino a 5 prescrizione dopo 5 anni, da 5 a 10 prescrizione in 10 anni, da 10 a 20 prescrizione in 20 e così via.

Il risultato della nuova disciplina della prescrizione (una specie di punizione per lo Stato, per il “sistema-giustizia”, che non riesce a compiere il suo dovere – cioè condannare chi non rispetta la legge – in un tempo ragionevole) è stato ben descritto da Bruno Tinti: prima di pervenire a sentenza definitiva, il reato è prescritto.

Anche questa è una disciplina da cancellare, quanto meno nella parte relativa alla recidiva, ripristinando la precedente disciplina legislativa.

LA FINI-GIOVANARDI

La nuova legge sulla droga, la Fini-Giovanardi, è del 2006 e modifica in parte la legge del 1999 che a sua volta modifica in parte quella del 1975. Nessuna però ha abrogato del tutto le precedenti, dunque la disciplina complessiva va ricavata dal confronto totale. E questo è il primo problema.

Il secondo problema è la scelta dell'ultima legge di non fare più alcuna distinzione tra le varie sostanze ai fini della determinazione delle sanzioni, ossia delle pene detentive. Tutte sono state aumentate, indistintamente.

Anche in questo caso, come sempre, ciò provoca l'orientamento della criminalità sulla massimizzazione del profitto. In pratica visto che il rischio di condanna è uguale, meglio spingere le droghe che costano di più e rendono di più. Naturalmente sono quelle dagli effetti più dannosi.

Il punto è che può anche essere una scelta quella di punire tutto allo stesso modo e tutto con pene molto alte. Ma a questa scelta deve accompagnarsi un rigoroso rafforzamento dell'apparato repressivo. Che invece non c'è mai stato. Morale: più di un terzo della popolazione carceraria totale, come sai, è rappresentato da detenuti accusati di reati connessi agli stupefacenti che però, ciononostante, sono soltanto una goccia nell'oceano del mercato della droga.

In sintesi: la nuova legge ha eliminato il criterio della “modica quantità” per uso personale (che pure aveva messo in difficoltà la giurisprudenza che aveva impiegato anni per mettere a punto modelli di valutazione che potessero aiutare a decidere cosa fosse e quando modica quantità e cosa no) per introdurre le soglie massime consentite.

Oltre questa soglia qualunque siano le condizioni soggettive, le circostanze del fatto, non si può mai parlare di detenzione per uso personale ma di spaccio. Dunque la pena va da 6 a20 anni e, trattandosi di uno spacciatore, sono preclusi i programmi di riabilitazione e cura. L’unica possibilità è il carcere.

Ecco perché: le tabelle fissano i limiti di possesso personale di “principio attivo” – e non di stupefacente complessivamente inteso - di ciascuna sostanza.

Ora il punto è questo: un assuntore di cannabis (ad esempio) che è riuscito a trovare sostanza più “pura”, dove il principio attivo è al 20 per cento (accade spesso a coloro che se la producono da soli coltivandosi le piantine nell’orto), va in galera per 10 anni se viene beccato con 5/7 spinelli perché si suppone, ope legis, che sia uno spacciatore.

Al contrario (cosa che accade molto frequentemente) le organizzazioni criminali, dopo la legge, hanno quasi dimezzato il principio attivo in modo che uno spacciatore di cocaina sorpreso con 20 dosi pronte per essere vendute possa agevolmente sostenere che si tratti in realtà di uso personale perché il principio attivo non supera la soglia della tabella legislativa.

Ciò provoca due conseguenze: mettiamo in carcere i consumatori “privati” etichettandoli come spacciatori e lasciamo liberi, e gli paghiamo anche una riabilitazione che in realtà non serve a nulla, degli spacciatori professionisti alle dipendenze della criminalità definendoli semplici consumatori.

Per giunta quella stessa criminalità, diminuendo la quantità di principio attivo, raddoppia i propri guadagni e, come non bastasse, adoperando spesso per il taglio sostanze dannose fa aumentare i morti.

"I tossicodipendenti non dovrebbero stare in carcere, perché non sono in grado di autodeterminarsi e avrebbero bisogno di cure e non certo della violenza di un luogo di reclusione", spiega l'ex sottosegretario Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. Per loro il sovraffollamento è ancora più claustrofobico. Chiamano gli agenti anche venti volte al giorno, soffrono lo spazio angusto e finiscono per cercare lo sballo con quello che trovano in galera. Inalano gas dai fornelletti e a volte muoiono proprio così, nell'indifferenza assoluta: "Il problema non è che sono poche le celle, ma sono troppi i detenuti che non dovrebbero entrare in carcere e soprattutto non starci. È per evitare questo che andrebbero spese le risorse del ministero, mentre il tandem Berlusconi-Alfano progetta, invece, un business bestiale da 80 mila posti: ammasseranno corpi senza acqua, senza luce, senza cucine, senza spazi di socialità, senza educatori. In questo modo il carcere diventerà una discarica sociale e non il luogo di detenzione dei criminali pericolosi".

È del tutto evidente la caratteristica gravemente criminogena di queste nuove disciplina legislative, che contribuiscono ad affollare le carceri italiane, fornendo occasioni di repressione illegale, della quale si sono avuti tragici esempi nel recente passato.

*Ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria

3 dicembre 2010

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

E' DI TUTTA EVIDENZA CHE I DUE (TRAVAGLIO E GONNELLA) PARLANO LINGUAGGI DIVERSI. SOPRATUTTO TRAVAGLIO NON SEMBRA SAPERNE GRANCHE'