martedì 7 dicembre 2010

LUCARELLI (NON) RACCONTA

Gentile dottor Morsello,

le scrivo innanzitutto per scusarmi, personalmente e a nome di tutti quelli che lavorano al programma. Accade raramente che problemi tecnici ci impediscano di mettere in onda interviste già realizzate, ma purtroppo qualche volta questo inconveniente si verifica e ce ne rendiamo conto troppo tardi. In questo caso non è successo soltanto alla sua intervista ma anche ad altre realizzate per questa puntata. Una cosa molto spiacevole anche per noi, non solo perché ci sentiamo in colpa per aver abusato del suo tempo e della sua pazienza –come anche di quello degli altri intervistati- ma perché il suo contributo era importante per la struttura della mia narrazione. Sono venuto a sapere anch’io soltanto qualche giorno fa di questo problema –siamo una specie di catena di montaggio e io mi sto occupando di altre puntate- nello stesso momento e dalla stessa persona che ha avvisato lei e gli altri e che è la nostra redattrice che proprio di questo si occupa. Le ripeto quindi le mie scuse e le assicuro che non utilizzeremo il suo nome e il titolo del suo libro, nonostante la sua lettura mi sia stata molto utile per portare a termine la narrazione di questa puntata.

La saluto con stima,

Carlo Lucarelli.

6.12.2010

Lodi, 6 dicembre 2010

X Carlo Lucarelli

OGGETTO: Lucarelli racconta, odierno.

Gentile dr. Lucarelli,

il pregio della sua trasmissione è quello di avere riunito in un unico contesto, tanti episodi criminali del recente passato, a carico e a danno di persone finite nella mani delle forze di polizia complessivamente considerate dando un quadro d’insieme che io, direttore di carceri per oltre 35 anni, ho trovato sconvolgente, angosciante, quasi insopportabile.

Sono casi del recente passato che io conoscevo già dalle cronache e dei quali mi sono occupato ed anche scritto, volendo la sua redazione può trovarne traccia in Google digitando il mio nome.

Ho notato qualche inesattezza o imprecisione, non dovuta alla sua trasmissione ma ad alcuni ospiti, non ne voglio scrivere.

Devo obbedire questa sera all’impulso irresistibile di scrivere, per liberarmi del senso di angoscia che già ho provato leggendone sulla stampa, moltiplicato per tutti i casi esaminati.

Desidero anche chiederle se sa dirmi a chi è venuto in mente di coinvolgermi, coinvolgere me, senza nemmeno aver letto il mio libro (c’erano nei titoli di coda autore, titolo e casa editrice, ma sapevo che ci sarebbero stati, non si smontano titoli di coda di un prodotto finito già consegnato all’editore, poteva risparmiarsi questa piccola bugia).

Se qualcuno si fosse preso la briga di leggere o mi avesse fatto una prospettazione degli intenti della trasmissione avrei declinato l’invito. L’avrei declinato perché io non c’entro in alcun modo con l’atmosfera che si respirava in tutta la sua trasmissione.

Io sono stato direttore titolare dal gennaio 1970 al gennaio 2005, con brevi parentesi presso gli uffici regionali di Firenze e Milano, ho diretto sette istituti penitenziari (dei quali due nuovi messi in funzione) ed altri 22 circa in servizi di missione, dunque un arco temporale importante ed un numero significativo di carceri.

Ebbene, non sono mai andato in televisione, dalle reti locali a quelle nazionali pubbliche e private, non ho mai partecipato a convegni, non ho mai tenuto conferenze, ho realizzato già dal 1971 iniziative lavorative, di tempo libero, di partecipazione della comunità esterna e dei familiari dei detenuti a momenti di incontro e anche conviviali ancora prima della legge di riforma del 1975.

Non solo. Nelle carceri da me dirette si sono verificati solo tre suicidi, uno nella casa penale di San Gimignano, uno presso l’istituto di semilibertà di Alessandra e l’ultimo nella casa circondariale di Lodi.

Non si sono verificati episodi di pestaggio (lo avrei saputo, i detenuti si fidavano di me, mi sentivano amico), qualche schiaffone, qualche pugno, sono arrivato a minacciare denunce penali ad un intero corpo sottufficiali.

Ho sempre, solo ed esclusivamente badato a fare bene il mio lavoro, nei limiti in cui mi veniva consentito di farlo, con un impegno lavorativo ininterrotto, senza mai menar vanto di alcunché.

Dunque, che posto potevo avere io nel suo programma?

Non credo che lei abbia letto il mio libro, ma credo che lei dovrebbe farlo, capirà che non si fanno proclami, ma si fa, si opera, si evita che detenuti ed anche unità del personale subiscano la fascinazione terribile della depressione e talvolta si arrivava quasi all’ultimo istante, ma, ripeto, in 35 anni solo tre suicidi.

Inoltre, raccontare per bene significa avere il tempo per poterlo fare, camei di 50 secondi, anche se ripetuti, non servivano allo scopo.

Nella su trasmissione non si è accennato a mali di fondo e rimedi per estirparli.

Se lei leggerà questa lettera, leggerà anche due allegati e capirà meglio.

Cordialmente.

Luigi Morsello

Gentile dottor Morsello,

ho letto il suo libro e per questo abbiamo chiesto la sua intervista, per parlare dei mali del carcere, delle possibili soluzioni e della sua esperienza, non di pestaggi o suicidi. E infatti la sua intervista era coerente proprio con quegli oggetti e mi dispiace che non sia stato possibile utilizzarla. La ringrazio sia degli apprezzamenti che delle critiche, so che camei di 50 secondi non bastano come neppure due ore di trasmissione, ma purtroppo è tutto quello che abbiamo, in televisione. Quanto al suo libro, non si è trattato di una bugia, al momento di risponderle pensavo davvero che avremmo potuto toglierne il titolo (come le ho detto non sono io che mi occupo di certe cose e non ne so molto). Una volta saputo che era impossibile mi sono messo l’animo in pace pensando che era giusto così. Da scrittore a scrittore una volta pubblicati i libri sono di chi li legge e penso che se qualcuno vorrà farlo imparerà sicuramente qualcosa.

La saluto sempre con stima,

Carlo Lucarelli

7.12.2010”

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Hai fatto bene. Le redazioni dei programmi sono spesso farcite di autori che quando preparano una trasmissione non essendo mai sicuri di ciò che stanno facendo buttano dentro qualunque cosa trovano che ricordi minimamente l'argomento che devono trattare. Poi, quando si tratta di tirare le fila, si accorgono che il 90 per cento di quello che hanno fatto avrebbero potuto risparmiarselo.
Se fossero consapevoli di ciò che fanno se ne sarebbero accorti prima...
ROBERTO ORMANNI

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Poco male, la trasmissione è stata un 'flop', appena 1.500.000 spettatori.