di VITTORIO ZUCCONI
La faccia di quest'America che ha perduto la faccia è la sua, ed è un viso stanco. È toccato ancora una volta a lei, a Hillary Rodham in Clinton, spendersi in prima persona a 63 anni per salvare la propria nazione dall'imbarazzo internazionale. Prima come moglie umiliata ma leale al fianco del marito farfallone negli anni '90, ora come capo di una diplomazia denudata in pubblico e chiama al "damage control", a limitare i danni inflitti ai regimi e ai governi più fragili, come quello di Silvio Berlusconi. E ha detto basta. Questa è stata l'ultima umiliazione: "Tornerò a fare l'avvocato per i diritti delle donne e dei bambini".
La formidabile signora che aveva sognato di essere la grande tessitrice della pace internazionale e si scopre rammendatrice di calzini bucati forse ne ha avuto abbastanza. Passi salvare il marito dalle proprie trasgressione, ma salvare anche Berlusconi è stata la goccia proverbiale. "Credo che questo sarà il mio ultimo incarico di governo" ha risposto ieri a uno studente nel Bahrain. Per aggiungere però subito un avverbio classicamente clintoniano: "Probabilmente".
Bisogna avere conosciuto e seguito un poco la vita di questa figlia di un piccolo imprenditore tessile dell'Illinois, un destino di familiarità per leggere la rabbiosa stanchezza disgustata dietro quel sorriso troppo forzato accanto a Berlusconi in Kazakhstan, nel tributargli una medaglia di serietà e di credibilità alle quali, come rivelano le sue corrispondenze diplomatiche riservate, non crede. Hillary non è, e non è mai stata, un personaggio simpatico, una "piaciona" da comizio o da show televisivo. Il pubblico americano aveva imparato a conoscerla da una risposta brusca, stizzita, offerta nel 1992, durante la prima campagna elettorale di Bill, a chi le aveva chiesto se la fama di grande sottaniere del marito, la preoccupasse. "Non sono una di quelle donnette che si consumano a proteggere il loro uomo", aveva sibilato con lo sguardo in fiamme.
Per lei, laureata in giurisprudenza in quella stessa Yale dove conobbe il suo futuro marito e croce, William Clinton, il passaggio dalla vocazione di protettrice dei deboli a quello di badante dei forti, è stato attutito soltanto dal fuoco di un'ambizione bruciante, per la quale aveva sacrificato anche il proprio spirito indipendente. Era cresciuta nel culto, e nella ideologia convinta, dell'autonomia femminile, dell'auto-realizzazione senza dipendere dal patronato o dai favori dei "maschi alfa" e ogni volta che pensa di esserci finalmente riuscita, di non essere più "la moglie", viene risucchiata indietro. "Non sarò
Dallo scorso week end, quando sulla sua scrivania all'ultimo piano del dipartimento di Stato sono cominciate ad arrivare le segnalazioni di WikiLeaks, Hillary ha dovuto sfoderare teiere e pasticcini virtuali per rabbonire ospiti irritati e svergognati. Ha chiamato per scusarsi il presidente pachistano Zardari, la presidente argentina Kirchner, la presidente liberiana Sirleaf, il ministro degli Esteri canadese Cannon, il ministro degli Esteri tedesco Westerwelle, il ministro degli Esteri francese Alliot-Marie, quello inglese Hague, l'afgano Karzai, il saudita Al-Faisal e ben due "pezzi da 90" cinesi, il consigliere di Stato Bingguo e il ministro Jechi.
E' stata una via crucis di scuse e di "Kiss and Make-up", bacino e facciamo la pace, per lei così orgogliosa, così forte, un calvario di rassicurazioni, di giuramenti d'amore culminato con i salamelecchi di circostanza a quell'uomo che deve averle ricordato molto da vicino le ore indimenticabili del proprio matrimonio amaro e infedele, Silvio Berlusconi. Un'esperienza che la avrà fatto toccare con mano la cinica verità della diplomazia formulata dagli Inglese nell'800 e poi ripresa da Henry Kissinger, secondo la quale "un diplomatico è una persona pagata per mentire a nome del suo Paese". Da qui, il conato di nausea espresso a quello studente. Basta.
Era circolata molto, nel mese di novembre a Washington dopo la bastonatura elettorale dei democratici, la voce di una sua possibile candidatura alla vice presidenza accanto a Obama, e al posto dell'inesistente Joe Biden, per la corsa elettorale del 2012. Sarebbe stato un premio di consolazione, per questa donna che era arrivata a poche migliaia di voti dalla conquista della nomination democratica al posto di Obama e da una probabilissima vittoria contro l'impresentabile duo repubblicano di McCain e della Palin, dopo due turni come senatrice dello Stato di New York. Ma la sua risposta nel Bahrain tradisce tutta la stanchezza di chi ha dovuto digerire già troppi rospi, per avere ancora appetito per altri.
Bastava osservarla, mentre recitava l'atto d'amore e di contrizione a uso dei telegiornali per quel Berlusconi del quale, come ora sappiamo dai rapporti riservati, lei da tempo non si fida e della cui vita vera sa tutto. Bastava guardare quel sorriso tirato che le vedemmo sfoderare in tutti i momenti di crisi, con la piccola eccezione delle lacrime versate dopo una delle sconfitte contro Obama in Iowa, mentre ravviava le penne del pavone italiano arruffate dalla verità imbarazzante, per sentire la rabbia, la stanchezza di una donna ancora volta costretta al classico sacrificio di tutte le donne infelici, zitte e buone "per il bene dei bambini". "La sola differenza fra un uomo e una donna in politica - disse durante la propria sfortunata corsa alla Casa Bianca - è che una donna impiega molto più tempo per rifarsi la faccia prima di uscire". Ma a volte neppure il make up più sapiente riesce a nascondere le rughe della verità.
(05 dicembre 2010)
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