CARLO TECCE
Una manovra per assorbire un debito di 650 milioni previsto entro il 2012 scatena la rabbia di oltre 10mila lavoratori, in sciopero contro il dg: "La vera Rai siamo noi"
Che messaggio lascia uno sciopero generale Rai? Un corteo che circonda viale Mazzini, blocca l’informazione e smantella il palinsesto? Forse lascia un giudizio sul direttore generale che assorbe numeri e significati di una protesta (l’80 per cento di 13 mila dipendenti) contro il piano industriale: “Mauro Masi presidente di Mediaset”. Bel conflitto d’interessi per un’azienda che caccia i lavoratori interni e insiste con l’appalto esterno: un giro d’affari che risucchia centinaia di milioni di euro. Uno schermo di poliziotti e camionette protegge il cavallo di viale Mazzini.
Tutti insieme a viale Mazzini
Il palazzo è vuoto, tutti fuori: manifestano in duemila, vengono da Saxa Rubra e dai centri romani oppure da Napoli e Milano. Tante, tantissime pettorine arancioni con la scritta la “Rai siamo noi”, indossate da chi è precario e agonizza aspettando un contratto, da chi è vicino al pensionamento e sarà spinto sullo “scivolo” di Masi per eliminare risorse e lavoratori: via in mille e trecento, via 200 milioni per le reti, via un pezzo di Raiway e mezzi per le riprese. Una manovra per assorbire un debito di 650 milioni previsto entro il 2012. Il commento di Masi è critico: “Lo sciopero è un grave errore perché allontana dal tavolo per la trattativa e da quel dialogo necessario per trovare soluzioni”. Poi il dg cerca un varco per evitare uno scontro permanente: “Per parte mia sono disponibile al confronto, ma sempre e solo nell’interesse dell’azienda e non di chi utilizza questi eventi per tentare di farsi un po’ di pubblicità patetica d’accatto a scapito dell’immagine della Rai”.
E Masi dimentica che l’80 per cento dei dipendenti s’è fermato proprio per denunciare i segreti e le porte chiuse, ordinate da sé medesimo, sul piano industriale che trasforma il servizio pubblico. Il presidente Paolo Garimberti risponde ai sindacati che scioperano (tutti, tranne
Nani e ballerine
Spesso autori e inviati passano giorni inchiodati a una sedia e una scrivania, non perché fannulloni, ma perché costretti a oziare da un’azienda che compra a caro prezzo format di società private come Endemol e Magnolia. “Smantellano la parte tecnologica della Rai e – dice Emilio Miceli, segretario generale Slc-Cigl – colpiscono chi lavora per mantenere nani e ballerine, per acquistare da altri quel che c’è dentro. Chiediamo una commissione che indaghi sugli sprechi”.
Flavio Tomei di Uil-Com accende una speranza per modificare la strategia aziendale: “Non stiamo scioperando solo per il nostro posto di lavoro e per lo stipendio – ha spiegato Flavio Tomei di Uil-Com – ma per difendere l’azienda che ha scelto autonomamente di essere smembrata rendendosi dipendente rispetto al mercato, e comprando all’esterno quello che oggi vende. Il piano è suicida”. Il sindacato dei giornalisti (Fnsi) parla di orgoglio, l’opposizione di un Masi che non sente né vede. E i telespettatori per un giorno non sentono e non vedono i telegiornali ma assistono, quasi fosse una commedia, al battibecco di comunicati tra i comitati di redazione e il direttore generale. Per i dipendenti Rai l’azienda è prossima al fallimento economico e culturale, per il dg basta qualche medicina (tagli) per riprendersi. Però poi torna in mente il cartellone più applaudito dai duemila di viale Mazzini: “Masi presidente di Mediaset”.
Da Il Fatto Quotidiano dell’11 dicembre 2010
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