martedì 14 dicembre 2010

PANICO AL MERCATO


L’inchiesta di Roma frena la compravendita di voti C’è un avvocato “pentito” dietro l’esposto dell’Idv

di Paola Zanca

“Eh... e adesso non sono più ferrato su niente, ok?”. Alle sei di pomeriggio Mario Pepe non ragiona più. È tutto il giorno che rimbalza come una trottola da un lato all’altro di Montecitorio. Avvicina i colleghi del Pdl: “Dovremmo essere 315 a 312”. Poi è il ministro Brunetta a fermarlo: “Che fa Calearo, che fa? Fabrizio (il capogruppo Cicchitto, ndr) è preoccupato”. Tutti si rivolgono a lui come se avesse il pallottoliere sotto controllo, eppure, qualche ora più tardi, quando gli chiedi di fare i conti, perde la testa. I sintomi si appalesano nel suo intervento in aula, quando chiede al presidente Fini di “convocare, sulla base dell’articolo 64 della Costituzione, il Parlamento in seduta segreta, al fine di salvaguardare l’incolumità dei membri del Parlamento”. Ma di cosa ha paura Pepe?

Ufficialmente non si sa, ma Antonio Di Pietro è convinto che siano stati i suoi due esposti in Procura a fermare i giochi. “Li abbiamo spaventati - spiega - altrimenti avrebbero continuato”. Parla della compravendita, del “mercato delle vacche” che da settimane sta sconquassando gli equilibri della politica. Una decina di nomi, tra “prede” e “predatori”, che ora sono al vaglio del procuratore aggiunto Alberto Caperna. I “persuasi” sono parlamentari, ma a fare da mediatori non sarebbero i politici, che si occuperebbero solo di muovere le acque nella fase iniziale: funzione “ad colorandum”, la chiama Di Pietro.

A seguire la compravendita in concreto, poi, sarebbero altri: ad esempio, la “gola profonda” che avrebbe fornito prove documentali della presunta corruzione è un avvocato. Sarebbe stato arruolato mesi fa, ai tempi dei primi malumori con Gianfranco Fini, per “radunare” parlamentari che avrebbero potuto sostituire i “traditori” finiani. L’operazione non andò in porto: a convincere l’avvocato a parlare, sarebbe stata proprio la mancata ricompensa per la trattativa fallita. Tra i casi illustrati da Di Pietro ci sono sicuramente quelli dei due ex Idv, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. Tutti e due, nei giorni scorsi hanno abbandonato il partito e sono pronti a sostenere il governo Berlusconi. Nel caso del primo, potrebbero aver pesato le pressioni di ambienti siciliani, come quello di Barcellona Pozzo di Gotto. Nel caso di Razzi, confluito in Noi Sud, potrebbero essere state, almeno stando ai racconti del suo ex portavoce , le promesse dei ministri Frattini e Alfano. Racconta l’Idv Francesco Barbato, fino a pochi giorni fa compagno di banco di Razzi, che le pressioni andavano avanti da tempo. Pranzavano insieme, e Razzi gli faceva il resoconto delle avances: “Lo aveva impressionato il fatto che Berlusconi lo faceva accomodare sul divano, e poi continuava a sbrigare i suoi impegni: incontri, telefonate, faceva tutto davanti a lui, per farlo già sentire uno dei suoi”. Ieri Barbato ha provato a chiamarlo un sacco di volte. Niente da fare. Alla fine gli ha lasciato un messaggio in segreteria, ma dubita che servirà a farlo tornare sui suoi passi. Razzi se n’è andato con Noi Sud - come aveva già fatto un altro Idv, Americo Porfidia, indagato per estorsione aggravata - e voterà la fiducia.

Non hanno ancora trovato una posizione unitaria i tre del Movimento di Responsabilità nazionale: Cesario vuole votare la fiducia, Scilipoti si è quasi convinto, dopo che una troupe di Annozero, dice, ha fatto svenire sua madre. Calearo è ancora per l’astensione ed è letteralmente tartassato dalle telefonate del Pd e del Pdl.

Non voteranno nemmeno i due del Sudtiroler Volkspartei. L’onorevole (di Bolzano) Micaela Biancofiore ha provato a convincerli a votare la fiducia, ma ha ottenuto solo una riflessione sulle “alleanze organiche future”.

Si cerca consenso in ogni angolo di Montecitorio. Addirittura, a un certo punto della giornata, si diffonde la voce che oggi il governo potrebbe porre la fiducia su un provvedimento qualsiasi: in quel caso, avrebbe la precedenza sulle mozioni di sfiducia, e soprattutto ci sarebbero state altre 24 ore di tempo prima del voto. Ipotesi fallita per un motivo banalissimo: nel voto di sfiducia la parità di voti vale come una vittoria (il governo non cade), in quello di fiducia, il pareggio è una sconfitta.

Strategie che raccontano il panico che si è diffuso a macchia d’olio nella maggioranza, dopo che i finiani hanno serrato le fila. Santanchè e Verdini si aggirano per il Transatlantico con volti spettrali. A Simone Baldelli viene ordinato di chiamare una trentina di parlamentari e affidare ad ognuno il compito di controllare che gli altri colleghi siano presenti. “Guzzanti che fa?” è il tormentone della giornata. Pare stia con l’opposizione. Francesco Pionati riceve una telefonata dietro l’altra. “Onorevole, dicono che Grassano abbia cambiato idea...”. “Ma come! Me lo so’ mangiato un’ora fa!”. “Prego?” “Volevo dire che abbiamo pranzato insieme”.

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