MOFFA E GLI ALTRI “RIPESCATI” ORA NON DOVREBBERO TRADIRE
di Luca Telese
Silvano Moffa al telefono con Silvio Berlusconi, Silvano Moffa che si incontra nel suo ufficio con Gianfranco Fini, Silvano Moffa che si vede con i falchi del Pdl, che parla con Augello, che poi si rivede di nuovo con Fini, Silvano Moffa alla Camera, inseguito da uno sciame di giornalisti, Silvano Moffa, che vede Franco Frattini ed Angelino Alfano, e poi riferisce a Fini in un colloquio al quale prende parte - bontà sua - anche Alessandro Ruben. Silvano Moffa in aula con le sue guance alla zuava rosee, le labbra rosso fuoco, l’incarnato pallido, la pupilla dilatata e lo sguardo triste. “Oggi - scherza perfido ma efficace Francesco Storace - Moffa ha incontrato Fini, in un solo giorno, più volte di quanto non abbia fatto con il suo maestro Rauti in tutta la vita”.È il “Moffa day”, titola l’AdnKronos, mentre lui - l’uomo del giorno, concludendo la giornata con tono enigmatico e sibillino diceva: “La notte è lunga per trovare una via di uscita. La strada è stretta ma la capacità dei leader in questi momenti sta proprio nel trovare un accordo”.
APRITI CIELO. Insomma, dopo quello del voltagabbana, dei radicali titubanti, dei tre tenores e dopo quello dei venduti nel grande bestiario di Montecitorio, dentro questo acquario sigillato, spumeggiante e asfittico che ormai è
Ci avete capito qualcosa? Probabilmente no. Ma non è colpa vostra. E allora proviamo a riassumere. Domenica sera, come un fulmine a ciel sereno, trapela la notizia che l’ex presidente della Provincia di Roma ha annunciato di aver deciso di non andare alla riunione del suo gruppo. Ma se non va alla riunione - deducono subito tutti - vuol dire che non vota nemmeno con loro. E così esultava, nella notte, Maurizio Gasparri: “Silvano non ha retto la radicalizzazione di Fini, e il suo annuncio di essere passato all’opposizione”.
È DAVVERO COSÌ? Sta di fatto che ieri mattina Gianfranco Fini applica la contromossa. Apre la sua giornata di incontri con Moffa, e offre a Berlusconi questo ennesimo accordo: dopo aver ottenuto la fiducia al Senato (dove il premier dovrebbe passare quasi sicuramente) si dimetta senza sottoporsi al voto di fiducia alla Camera. Una mossa di cui costituzionalmente si fatica a trovare la spiegazione, e che logicamente è ancora meno comprensibile: perché mai un presidente del Consiglio che ha avuto il quorum dovrebbe gettare la spugna? La spiegazione però è un’altra: facendo questa offerta , Fini “recupera” le colombe, e gli fornisce un alibi per votare insieme al suo gruppo. Avete visto? È il Cavaliere che non ci sta, la colpa è sua, noi ci abbiamo provato fino all’ultimo. Ed infatti, come era prevedibile, Berlusconi risponde picche all’offerta, facendo felice il presidente della Camera. Basta sentire la replica algida di Ignazio
E QUINDI? L’idea delle dimissioni dopo una fiducia monocamerale sono un meraviglioso gioco per azzeccagarbugli. Una straordinaria trovata di tattica parlamentare, che però ha anche un limite, esattamente come il colloquio “segreto” di Italo Bocchino con il premier della settimana scorsa. Futuro e libertà, continua a radicalizzare la propria posizione, ma proprio mentre si spinge in avanti in questa operazione, continua a trattare un “piano B”. O almeno, continua a dare questa impressione, oppure è costretta a darla - e non c’è differenza - per provare a portarsi dietro tutta la sua pattuglia. Il “Caimano”, invece , appare molto più granitico e coerente. Ieri leggeva un discorso precotto per la seconda volta (lo stesso del Senato) gli si impappinavano le parole, saltavano gli enjambements negli accapo e rischiava il ridicolo quando si alzava il coro ironico dall’emiciclo dell’opposizione alle sue sparate: “Uuuhhh!!!”. Il premier sembrava dimenticarsi per un attimo il nome “Italia dei... valori”, e disturbato dalle interruzioni, arrivava a fare un gesto di molletta con le dita sulle labbra, come a dire: “Non posso rispondervi”.. Però, mediaticamente, la sua posizione non è mai cambiata: i finiani sono traditori, io non mi dimetto, devono sfiduciarmi se ne hanno la forza. E così i due duellanti sembrano combattere legati da un elastico, si allontanano e si avvicinano, e i rapporti di forza con cui dovranno trattare, dopo il voto, li deciderà il pallottoliere di stamattina.
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