lunedì 20 dicembre 2010

Primarie, scontro tra Vendola e D'Alema


CARLO BERTINI

Ci sarà un motivo se, coperti dall’anonimato, molti peones del Pd condividano nella sostanza una tesi come quella espressa ieri da un berlusconiano doc come Osvaldo Napoli. E cioè che «Bersani e Casini sono i primi ad augurarsi che il governo possa rafforzarsi perché questo è l’unico modo che hanno per allontanare da sé l’amaro calice elettorale». Basta registrare la guerra senza esclusione di colpi che si fanno da giorni gli stati maggiori di Pd, Sel e Idv, così come i continui smarcamenti di Casini dai suoi corteggiatori, per capire come allo stato l’unica coalizione sicura in caso di voto sia quella Pdl-Lega. A sinistra infatti regna sovrana la confusione, con alleanze d’ogni sorta evocate e subito contrastate, primarie rinviate e opposte interpretazioni alle porte socchiuse dai centristi. Stasera i 75 parlamentari della minoranza “Modem” riuniti da Veltroni, Fioroni e Gentiloni, faranno il punto in vista della Direzione convocata da Bersani il 23 dicembre. E malgrado la contrarietà a rinunciare ad un pezzo dell’identità Democrat come le primarie, la correzione di linea del segretario ha raffreddato un poco gli animi. E anche la definizione del Pd di Massimo D’Alema ieri sera da Fabio Fazio potrebbe essere in teoria sottoscritta dai veltroniani: quella di «una grande forza che deve indicare una prospettiva al paese anche indicando le riforme da fare, con un progetto: chi lo condivide lo sosterrà, non dobbiamo guardare da una parte o dall’altra, come nella fisica siamo noi il corpo maggiore». Ma l’incertezza sul destino delle primarie scuote nel profondo la base del partito e fa infuriare l’alleato Nichi. «Anche gli americani mi hanno detto che siamo matti a farle così, servono regole e garanzie», dice D’Alema.

Vendola ribatte dunque al fuoco di sbarramento del vertice Democrats (con Bersani che lo apostrofa, «io sto fuori dal Palazzo, non tu» ed Enrico Letta che lo accusa di «autismo»), con un’operazione di marketing elettorale volta a rovesciare la prospettiva: «Leggo sull’Unità sondaggi secondo cui se il Pd va col Terzo Polo è al 35%, mentre se si allea con Sel e Idv è al 37%. E poi Sel è una cosa, ma io prendo voti ovunque, anche a destra. E mi spieghino come si fa ad allearsi con Fini che vuole rifondare il centrodestra». E ancora: «Quelli del Pd mi attaccano per coprire la rivolta della base e se ho solo il milione di voti delle europee perché hanno paura delle primarie? L’autismo è il loro che non sono in grado di elaborare risposte all’altezza dei problemi di oggi».

«Con lui vorrei parlare di cosa ritiene necessario per il futuro del Paese», replica caustico D’Alema, che liquida la pur «legittima ambizione» di Vendola come frutto di «un’ossessione della leadership carismatica alla Berlusconi». Convinto che «l’esito probabile siano le elezioni», il presidente del Copasir annuncia che la campagna elettorale sarà giocata sul tema dell’unità nazionale e rilancia la prospettiva di «un governo che affronti i problemi e dia speranze al paese». Un governo «che per me può unire un arco ampio di forze, anche forze che sembravano lontane». Quindi anche con il leader del Fli, «con il quale dialogo da tre anni su vari temi: con lui ho riscontrato ad esempio una convergenza sul voto agli immigrati, che sarebbe stata impossibile ai tempi della Bossi-Fini».

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