di Marco Travaglio
Molti sono rimasti colpiti da quel che è accaduto ad Annozero, al netto delle scalmane del cosiddetto ministro Ignazio
Colpiti dal reportage di Ruotolo sugli scontri del 14 dicembre, dove migliaia di studenti solidarizzavano con i pochi violenti.
Colpiti dall'atteggiamento dei politici, che pretendevano dagli studenti un’abiura della violenza come precondizione per discutere con loro.
Colpiti dall’atteggiamento degli studenti, che non prendevano affatto le distanze, anzi rilanciavano: “Sono due anni che protestiamo pacificamente contro la legge e i tagli della Gelmini e il sottostante progetto di precarizzazione sociale, ma nessuno ci ha ascoltati, nessuno ha parlato con noi. Vi accorgete di noi solo ora che abbiamo abbandonato le buone maniere”.
In una situazione così bloccata, di incomunicabilità totale, cercavo le parole per dire qualcosa, e non mi venivano. Le ha trovate Santoro: “Se chiediamo agli studenti una risposta sulla violenza, dobbiamo prepararci ad accettare qualsiasi risposta, anche quelle che non ci piacciono e non condividiamo”. Altrimenti, se non c’è un luogo in cui si possano esprimere anche le idee più estreme e meno condivisibili, chi le ha in gola si rassegnerà all’idea malsana di incappucciarsi e unirsi, la prossima volta, ai violenti che finora si è limitato ad applaudire o a non condannare. Certo, sarebbe stato più consolatorio per se i tre studenti ospiti di Annozero avessero accreditato la tesi delle poche mele marce, delle minoranze facinorose infiltrate (magari dai servizi deviati) fra 100 mila pacifici manifestanti, pescando fra i luoghi comuni che ricorrono in questi casi: “Pochi imbecilli e delinquenti non devono infangare il buon nome degli studenti”.
Non l’hanno detto. Perché non lo pensano e perché non è così. Anzi, han fatto notare che le violenze di martedì non hanno affatto alienato simpatie e consensi al “movimento”, anzi ne hanno ingrossato vieppiù le file: “All’assemblea di martedì sera alla Sapienza c’era molta più gente delle altre volte”.
Anche questo è un fatto e chi fa informazione deve anzitutto raccontarlo per quello che è, prima di commentarlo.
In questa constatazione,
C’è un luogo in cui questi giovani, che un po’ pomposamente si definiscono “un’intera generazione”, possono parlare e trovare qualcuno che li ascolti? No, non c’è.
Raggiungerli sui tetti in extremis per raccattare qualche voto è solo un’offesa, l’ultima. Lanciare appelli paternalistici a “isolare i pochi imbecilli che rovinano la protesta pacifica”, con un linguaggio da colonnelli in pensione, non funziona, non attacca. Ammonire contro il ritorno degli anni di piombo, peggio che mai.
Questi ragazzi rivendicano una specificità e una novità che in parte sono infondate (“diversamente dagli anni ‘70, a tutti noi non ci rappresenta nessuno”: ma anche trent’anni fa era così, anche se un ministro dell’Interno che chiede la galera per i giovani accusati di resistenza a pubblico ufficiale avendo una condanna definitiva per resistenza a pubblico ufficiale, è una novità assoluta). Ma in parte sono reali: è vero che “questa generazione è senza speranze” dunque non ha nulla da perdere, condannata in partenza a scegliere fra precariato selvaggio e disoccupazione, fra disagio alienante ed espatrio, fra rabbia interiore e violenza esteriore. Fermo restando che è sempre giusto farlo, condannare la violenza non basta più. Occorrono parole nuove e luoghi non comuni per comunicare, al di là della retorica e delle frasi fatte.
Da oggi, con l’intervista a Barbara Spinelli e il forum aperto sul nostro sito, proviamo umilmente a cercarli insieme.
Nessun commento:
Posta un commento