GUIDO RUOTOLO
Lascia disorientati questo singolare scontro tra le procure di Palermo e Caltanissetta che ha per oggetto la credibilità di un testimone che si chiama Massimo Ciancimino. Non è la prima volta che accade, e quello che dovrebbe preoccupare di più è che l’oggetto dello scontro tra i due uffici giudiziari siciliani è sempre lo stesso: le stragi di mafia e la trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra. Materia incandescente, che proprio per questo dovrebbe suggerire un bon ton istituzionale ma dalle due procure siciliane il Galateo viene violato senza porsi grossi problemi. L’oggetto dello scontro diventa materia di dominio pubblico e spesso si accompagna con una pesante violazione del segreto istruttorio. Vanificando una volta il lavoro di una procura, un’altra dell’altra.
Colpisce che nell’arco di poche ore Caltanissetta abbia sepolto ogni barlume di credibilità del figlio di Don Vito affibbiandogli un elenco sterminato di calunnie e di violazioni di segreti investigativi. E nello stesso tempo, nelle stesse ore, Palermo invece faccia capire che per lei Massimo Ciancimino non è un bandito, non è un mafioso, è un testimone le cui dichiarazioni vanno tutte riscontrate. E che i primi riscontri sono stati positivi. Quello che colpisce, in realtà, è l’andare in scena dello stesso copione. Che sia fisiologica una dialettica tra uffici giudiziari è normale, ma non che si riproponga sempre sulla stessa materia, cambiati i protagonisti. Ieri, i procuratori Caselli e Tinebra, oggi i procuratori Messineo e Lari (con un ruolo di spettatore di Firenze, ieri come oggi). Dunque, Massimo Ciancimino, secondo
Ma Narracci non era stato chiamato in causa anche da Gaspare Spatuzza, che addirittura l’aveva collocato nel garage dove si stava imbottendo di tritolo l’auto che doveva eliminare Paolo Borsellino e la sua scorta? Salvo poi sfumare l’accusa in un successivo confronto all’americana? Ma anche Massimo Ciancimino sulle identità dei vari «signor Franco» è stato incerto. Perché due pesi e due misure? Quel che dovrebbe essere scontato è che sulle accuse nei confronti del prefetto Gianni De Gennaro, la procura di Caltanissetta ha in mano le prove della calunnia. Perché, è questa la perplessità di Palermo, sarebbe ben strano che si procedesse contro il denunciante senza aver verificato le sue accuse. Speriamo che gli effetti dei veleni finiscano presto. E che una lucidità investigativa ristabilisca verità e onorabilità dei protagonisti di questa intossicazione.
1 commento:
SARA', MA LA PROCURA DI CALTANISSETTA QUESTA VOLTA E' ALLA PROVA DEL NOVE. SE NON HA LE PROVE DELLA CALUNNIA A DANNO DI GIANNI DE GENNARO SONO CAZZI!
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