mercoledì 8 dicembre 2010

L'euro sfida la leadership tedesca


GIAN ENRICO RUSCONI

Ragionevole prudenza? Diffidenza per una sospetta innovazione? Diffidenza verso (alcuni) partner europei? O malcelata ambizione di guidare la politica europea esclusivamente secondo i propri criteri? Che cosa c’è dietro alla opposizione del governo tedesco contro le proposte avanzate dai ministri economici dell’Eurozona che dovrebbero «porre fine alla crisi» e «rendere irreversibile l'euro» - come assicurano i promotori? Forse che i tedeschi non hanno gli stessi obiettivi? In realtà dietro a quello che rischia di apparire un conflitto di strategie economico-finanziarie tra la Germania e l’Unione europea c'è innanzitutto l’incertezza della classe dirigente tedesca sul proprio ruolo in Europa. Dalla crisi internazionale è uscita - inaspettatamente - una Germania più autorevole di prima sul piano europeo e mondiale. E’ diventata una potenza «egemone suo malgrado» in Europa. Che sul Continente non succeda nulla di importante senza il consenso di Berlino, è un fatto da tempo assodato.

Ma una nazione davvero egemone non può limitarsi a bacchettare i Paesi indisciplinati e a far pesare la sua generosità nel riparare, di tasca propria, le malefatte dei cattivi Paesi europei. Dopo tutto l’invidiabile tenuta e sviluppo della sua economia è pur sempre debitrice alla costellazione europea. In realtà non è chiaro se la classe dirigente tedesca abbia in testa una grande strategia, o non miri invece sostanzialmente a mantenere i meccanismi che hanno funzionato sino ad ieri. Così almeno sembra illudersi. Nella convinzione - ovviamente non detta ad alta voce - che la prevalenza del punto di vista tedesco sia il più vantaggioso anche per l’intera Unione europea. Questo atteggiamento «conservatore» ha una spiegazione. La popolazione tedesca infatti non nasconde più la sua aperta disillusione nei confronti dell’Europa. I discorsi sull’abbandono dell’euro sono irrealisti e provocatori, ma confermano che la gente guarda indietro. La cancelliera Merkel è sensibilissima agli umori dell’opinione pubblica.

Alla disaffezione dei tedeschi verso l’Europa e l’euro, la Merkel reagisce assumendo un atteggiamento fermo contro ogni iniziativa europea che ritiene «lassista» a favore di Paesi che non danno garanzie di politiche fiscali ed economiche tali da evitare in futuro l’intervento delle economie forti (ovvero di quella tedesca) a loro sostegno. Detto brutalmente, la cancelliera è preoccupata di rassicurare i suoi concittadini che non dovranno (più) pagare per gli altri europei. Naturalmente è una preoccupazione ragionevole, ma la Merkel non è né populista né ingenua: sa benissimo che l’euro è insostituibile per l’economia e per il benessere stesso della Germania se dietro ad esso c’è una comunità solidale. Se finisce l’euro solidale, finisce l’Europa politica e con essa la Germania di oggi. E la Merkel sa bene anche che la crisi, che ora sta rientrando, ha messo a nudo difetti di costruzione o debolezze di struttura che non possono più essere ignorati. Questa è la sfida per la classe dirigente tedesca, per il suo ritrovato senso di responsabilità europea.

La leadership che gli europei sono verosimilmente disposti a riconoscerle, in forza della posizione oggettiva della Germania (senza bisogno di proclamarlo sui tetti) presuppone un atteggiamento opposto a quello che - a torto o a ragione - si sta diffondendo nell’opinione pubblica europea: l’immagine di una virtuosa e efficiente Germania ma irritata e irritabile per ogni iniziativa che non risponde al suo punto di vista. Vedremo nelle prossime settimane se si tratta di una immagine sbagliata e passeggera e se la Germania saprà tirar fuori una classe dirigente in grado di guidare - d'accordo con le altre - l'Europa «realmente esistente».

Nessun commento: