di Pietro Grasso*
Gentile Direttore, non è mia abitudine instaurare momenti di conflittualità coi giornalisti, anche attraverso iniziative giudiziarie, proprio perché sono portato a presumere la buona fede in chi esercita la difficile professione di riferire e commentare fatti, documenti e comportamenti.
RIMANGO sconcertato, però, nel verificare come questa “assenza di malafede” possa essere messa in dubbio dalla lettura dell’articolo del suo giornale, dal titolo “Il suicidio Mattarella”, a firma di Marco Travaglio, pubblicato in prima pagina nell’edizione di ieri, sabato 8 gennaio, sulle cui tesi non intendo confrontarmi, se non per quello che mi riguarda personalmente.
Nel ringraziare l’autore del suo manifestato intento di non essere offensivo (…sarebbe offensivo pensare che…), tuttavia, a parte l’artificio dialettico, il tenore della frase lascia intendere che, nelle pur estemporanee battute sul luogo dell’omicidio Mattarella, in occasione del 31° anniversario, alle domande di giornalisti che “pendevano dalle mie labbra”, avrei volutamente omesso di citare la sentenza d’appello “Andreotti”, perché da Procuratore di Palermo (sic) “lasciai soli i miei pm, rifiutando di firmare l’appello contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado”. Tale affermazione, mi attribuisce una motivazione non solo non espressa, di cui il giornalista inopinatamente si fa interprete, ma serve da pretesto per introdurre due fatti non veri, comunque ingenerosi e lesivi del prestigio di un capo dell’ufficio, che si è sempre assunto le responsabilità delle proprie scelte.
INNANZITUTTO, coerentemente col mio ruolo, appena attribuitomi dal CSM dopo il trasferimento del mio predecessore alla direzione del DAP, mi sono schierato accanto ai sostituti che avevano condotto l’accusa al dibattimento, presenziando alla lettura del dispositivo di primo grado.
In secondo luogo, come l’articolista, attento lettore di atti processuali, avrà modo di riscontrare (nel caso in cui non ne fosse a conoscenza, non avendo la presunzione che conosca le mie ripetute dichiarazioni o pubblicazioni sul punto), dagli stessi pm del processo potrà apprendere che come persona informata dei fatti sono stato sentito, nella qualità di giudice “a latere” del maxiprocesso, sia in istruttoria che in dibattimento e che il rispetto delle regole procedurali impone in tali casi l’astensione da atti che possano determinare eventuali incompatibilità nei successivi gradi di giudizio. In ogni caso, da un giornalista, di cui è nota la professionalità, mi sarei aspettato quantomeno di esser interpellato per un doveroso controllo delle sue fonti.
Se posso fornire la mia autentica motivazione, le mie parole, in occasione dell’anniversario dell’omicidio Mattarella, al di là di qualsiasi strumentalizzazione, sono state perfettamente in linea con valutazioni, frutto di anni e anni di indagini e di processi, che ritenevo ormai acquisite e storicizzate nella memoria collettiva, limitandomi a citare un misconosciuto episodio di depistaggio delle indagini, attribuito a Vito Ciancimino nella sentenza per i c.d. omicidi politici, Mattarella,
Poiché non è la prima volta che vengo sottoposto ad attacchi personali – sempre dallo stesso giornalista e nel suo giornale – auspico il suo autorevole intervento, per rendere noti ai suoi collaboratori i motivi del mio disagio e, nell’esercizio delle sue funzioni di garante di una corretta informazione, mi aspetto la pubblicazione di questa mia lettera con una evidenza proporzionata alla precedente pubblicazione.
* Procuratore Nazionale Antimafia
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