Nessuna “tesi”, né illazione che “lascia intendere”, né “fatti non veri”.
Un fatto vero è che Grasso non firmò l’atto di appello dei suoi pm contro l’assoluzione in I grado di Andreotti; non solo, ma rifiutò persino di apporvi il suo “visto” rituale. La qual cosa gli valse il vivo apprezzamento dei giornali berlusconiani, che la lessero come una presa di distanze da chi quel processo aveva istruito (Caselli, Lo Forte, Scarpinato e Natoli).
Grasso poteva smentirli con una lettera tipo questa, ma purtroppo non lo fece.
Siccome sono abituato a verificare i fatti prima di scriverli, ho appreso dalla viva voce di quei pm che Grasso spiegò loro che non sottoscriveva l’appello perché non aveva avuto il tempo di leggerlo (per fortuna, godono tutti di ottima salute e possono confermare o smentire).
Mesi dopo, nel divampare delle polemiche, cambiò versione e scoprì improvvisamente di non avere firmato perché aveva testimoniato al processo Andreotti.
Quanto al resto, l’articolo incriminato è una sintesi esaustiva delle sue dichiarazioni alla commemorazione di Mattarella e di due verdetti di Cassazione che le smentiscono platealmente.
Sul delitto Mattarella, Grasso dice di aver subito intuito che “fu un delitto politico-mafioso”, ma “non si è mai potuto dimostrarlo” perché nessuno, nemmeno “dall’interno di Cosa nostra” ha fornito notizie utili. La sentenza definitiva su Andreotti invece ricorda i mafiosi pentiti, in primis Marino Mannoia, ritenuti totalmente credibili, che seppero e/o addirittura furono testimoni oculari dei due incontri in Sicilia fra Bontate e Andreotti in cui i due parlavano del delitto Mattarella prima (1979) e dopo (1980) che fosse perpetrato.
Come diceva Sciascia, “c’è una letteratura delle parole e una letteratura dei fatti”. Io preferisco la seconda.
Marco Travaglio
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