martedì 25 gennaio 2011

I buchi neri delle indagini difensive


GHEDINI E LONGO DEPOSITANO UNA TRENTINA DI TESTIMONIANZE: “NE PORTEREMO ALTRE”

di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali

È scoccata l’ora delle indagini difensive: ieri gli avvocati Niccolò Ghedini e Pietro Longo hanno depositato alla Procura di Milano una trentina di testimonianze raccolte per conto del loro assistito Silvio Berlusconi. Una decina proviene dalle ragazze che hanno partecipato alle feste ad Arcore, una ventina da ospiti delle serate, amici, personale della sicurezza e altri testimoni. L’obiettivo dei legali del presidente del Consiglio è quello di dimostrare, con le voci di partecipanti e testimonianze di contorno, che le serate a villa San Martino erano feste innocenti, senza sesso e senza prostituzione minorile. Ma i risultati appaiono davvero modesti, se confrontati con l’intenso lavorio sotterraneo realizzato in questi mesi e le grandi aspettative riposte nelle indagini difensive.

NON SONO STATE depositate tutte le testimonianze raccolte, ha spiegato Ghedini al Fatto Quotidiano, ma solo quelle ritenute utili in questa fase, con riserva di produrre eventualmente altro materiale nelle prossime settimane. Del resto anche la procura, sostiene Ghedini, ha finora scoperto soltanto una parte del materiale investigativo raccolto.

Strumento delicatissimo, le indagini difensive. Non privo di pericoli. L’avvocato incaricato da un indagato può ascoltare testimoni, anche già sentiti dal pm, ma non può mai, in nessun caso, chiedere né che cosa abbiano raccontato al magistrato, né quali domande siano state loro poste. Se poi un testimone fornisce notizie controproducenti per il suo assistito, l’avvocato non è tenuto a depositare il verbale. Ma se lo fa, il verbale deve riportare fedelmente quando dichiarato dal testimone. Ne sa qualcosa un avvocato torinese che per indagini difensive svolte in maniera scorretta ha sul groppone una condanna definitiva per falsità in atto pubblico e favoreggiamento.

Ma Ghedini si mostra tranquillo: sostiene di aver fatto tutto secondo le regole e “con il massimo rigore”. Gli incontri con i testimoni sono avvenuti nello studio milanese del collega Giorgio Perroni (storico avvocato di Cesare Previti). Il Corriere della Sera ha scritto però che Ghedini avrebbe sentito decine di ragazze anche ad Arcore. L’avvocato e parlamentare Pdl nega. E nega anche di aver cominciato a muoversi subito dopo la fatidica notte di Ruby in questura, il 27 maggio 2010. Spiega al Fatto di aver ricevuto da Berlusconi “il mandato difensionale” - e quindi di aver iniziato anche le indagini difensive - “solo dopo il 20 ottobre e solo dopo averne dato comunicazione al procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati”.

E QUI LE DATE non tornano. Perché Ghedini sostiene di essersi messo al lavoro prima che il caso Ruby arrivasse sui giornali (sul Fatto del 26 ottobre): “Ci erano arrivate sul caso altre notizie”. Ma va da Bruti (come atto di cortesia, la comunicazione non è obbligatoria) soltanto dopo il 26 ottobre.

Non è l’unica stranezza di questa vicenda. Che cosa è successo, per esempio, a proposito di Karima El Mahroug, in arte Ruby? C’è anche la sua testimonianza, nelle carte depositate ieri? “Chiedetelo alla procura, non sono loro di solito a far uscire le notizie?”, risponde Ghedini con un sorriso. Una cosa però il legale di Berlusconi la garantisce: “Né io, né l’avvocato Longo abbiamo mai visto Ruby, né l’abbiamo mai sentita neppure al telefono”. Ghedini racconta di aver mandato, all’inizio del novembre 2010, una richiesta scritta di sentirla al suo avvocato di allora, Luca Giuliante (tesoriere lombardo del Pdl). Giuliante ha risposto di non essere più il difensore della ragazza e che gli stava subentrando l’avvocato Massimo Dinoia. A Dinoia sono arrivate, per iscritto, le domande che Ghedini intendeva rivolgere a Ruby. Il legale ha raccolto le risposte della ragazza e le ha poi trasmesse, sempre per iscritto, a Ghedini il 3 novembre 2010.

Alle spalle di questa macchinosa procedura c’è un altro mistero. Quello dell'“interrogatorio” di Ruby del 6 ottobre 2010. A raccontare che Karima è stata “interrogata” quel giorno, a Milano, è Luca Risso, il genovese proprietario di locali notturni come l'Albikokka e il Fellini. Via sms (intercettati), dice alla sua vera fidanzata, Serena: “Sono nel mezzo di un interrogatorio allucinante... Ti racconterò ma è pazzesco!”. Serena risponde subito: “Stai attento... ricordati grano”. Luca: “C’è Lele, l’avv., Ruby, un emissario di Lui, una che verbalizza... Cmq tranquilla è tutto molto tranquillo. Sono qui perché pensano che io sappia tutto”. Tre quarti d’ora dopo, Luca telefona a Serena: “Sono ancora qua. Ora sono sceso un attimino sotto, sono venuto a far due passi... Lei è su, che si son fermati un attimino perché siamo alle scene hard con il Pr... con con una... con la persona”.

Chi sta interrogando Ruby? Non la procura. Qualche avvocato sta dunque compiendo un colossale inquinamento probatorio? Chi è il legale che interroga, con tanto di assistente che verbalizza il 6 ottobre? Ghedini nega: “Mai sentito Ruby”. Nega anche Giuliante. Il giallo resta aperto.

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