DENIS PARDO
Oggi arriva la sentenza della Consulta sul Legittimo impedimento. "L'espresso" vi invita a ingannare l'attesa con questo ritratto-verità dell'uomo che meglio rappresenta la plumbea fase finale di Berlusconi: Alessandro Sallusti
(13 gennaio 2011)
Ha spinto a tavoletta sul Caso Boffo. Per non parlare della campagna contro i fedifraghi Gianfranco Fini e Italo Bocchino più relative famiglie. E ora, dopo anni e anni di lavoro gomito a gomito, da eterno numero due, la guerriglia tra lui e Vittorio Feltri. Il "Giornale" versus "Libero", i due quotidiani d'area e riferimento: editoriali velenosi, rivendicazioni perfide, "io amo Silvio più di te", questo in pratica il senso insieme all'obiettivo copie, con panni pericolosamente sempre più sporchi e non lavati in una famiglia giornalistica di destra in disgregazione, tale e quale quella politica. Per uno come Alessandro Sallusti che racconta di aver fatto il volontario nei lagunari, i marines dell'esercito italiano, appassionatosi alle operazioni stile commandos, elmetto con alghe d'ordinanza in testa, coltello in bocca, l'aria che tira è da sballo.
Dopo una vita da sottomarino negli abissi delle redazioni, da dicembre direttore unico e solo al comando del "Giornale", sgominato un duro come Feltri, è diventato il più fulgido, contemporaneo e sfrontato esempio di berlusconiano da combattimento. Agente provocatore e artificiere al centro delle polemiche più roventi dell'ultima stagione del Cavaliere. Si è diviso da Feltri, ma ha fatto di più.
Ha stretto un sodalizio di ferro, di vita e business con Daniela Santanchè, sottosegretario- sexy, seguace del fai-da-te che ne ammazzi tre, pugnace consigliori del premier e - che comodità - pure titolare della concessionaria di pubblicità del "Giornale". Accusata da Stefania Prestigiacomo di essere una specie di Madeleine Forestier di "Bel Ami" ovvero il direttore occulto del "Giornale", sarà stata lei l'artefice della trasformazione di Sallusti da culo di pietra da redazione a giornalista più presenzialista e più invitato del centrodestra?
Da lui mai un no, anche a una richiesta dell'ultimo momento: gli acchiappa ospiti dei salotti tv lo adorano, e in più, la fissità dello sguardo e della mandibola, le randellate di parole, che arte nel far uscire dai gangheri chiunque! Ma appena spente le luci dei set, uno zucchero, dicono tutti, baciamani, inchini, pacche affettuose, «stai bene, caro?». Difficile definirla responsabilità della pigmalione Santanchè in tutto questo. Però se un bel giorno il colonnello Kurtz, quello di "Apocalypse Now" (ma nel Web, le due principali e malvagie correnti di pensiero accreditano Sallusti fisiognomicamente a cavallo tra Nosferatu e lo zio Fester, famiglia Addams) si imbatte in una Sarah Palin (prima della furia di Daniela verso Fini, via della Scrofa, sede di An, il suo ex partito, era quasi l'Eden) è un miracolo che non piova napalm.
Così, nonostante la disapprovazione non silente delle colombe Pdl, il premier va in brodo di giuggiole non solo per la coppia ma soprattutto per le pubbliche dichiarazioni di lui. D'altra parte, difficile non andare pazzi di uno che, nei talk show, senza battere ciglio e senza fourire, sbuffa: «Ma cosa c'entra Dell'Utri con Berlusconi?». Un portento per il Cavaliere. Un fenomeno capace di provocare azioni e reazioni paradossali.
A La7 raccontano che l'8 gennaio è arrivata una telefonata alla redazione del programma "In onda": «Ma avete invitato Sallusti senza contraddittorio? », ha chiesto Maurizio Belpietro, direttore di "Libero" ora alleato, socio (con la famiglia Angelucci) di Feltri, tornato amico, nel suddetto quotidiano. «Perché? È diventato un esponente di un partito? », è stata la risposta-domanda. Eppure nonostante elaborati editoriali e ardite argomentazioni televisive, i nemici annidati dietro le colonne del Palazzo romano sostengono che il direttore del "Giornale" non capisca un'acca di politica. A proposito di Santanchè, si diceva: il potere degli incontri. Vero. Anche se a lui, prima di conoscere lei, non mancava né l'indole né la vocazione. Un nonno repubblichino, due matrimoni, un figlio, il nostro nasce a Como, classe 1957, e dopo diploma e leva, sceglie la strada del giornalismo. Sa maneggiare bene i fucili, confida ai colleghi nelle lunghe notti dei turni in redazione. Ha esperienza con gli esplosivi. Come si è visto, anche se solo sulla carta, certe tecniche gli sono comunque tornate utili. Fatto sta. Passa da un giornale all'altro.
Entra al "Sabato", il settimanale di Comunione e liberazione (nel 2000 per "Panorama" di cui è stato vicedirettore una lunga e ispirata intervista a Don Giussani: «Padre cos'è il mistero?», chiedeva il futuro Nosferatu azzurro in versione angelica). Lo assumono al quotidiano cattolico "L'Avvenire": inviato in Africa, in Angola, scampa a una brutta esperienza, saltando su una canoa e arrivando mezzo morto e senza nulla in tasca in un hotel. Poi, è la volta del "Giornale" con Indro Montanelli. Del "Messaggero" al tempo di Montedison e di Raul Gardini che elargiva stipendi folli. Fino all'arrivo, nel 1990, al "Corriere della Sera", come numero due della Cronaca di Milano. Due anni dopo, lo scoop: con Goffredo Buccini trovano a Santo Domingo Giovanni Manzi, cassiere socialista delle tangenti per Malpensa, uno dei superlatitanti di Mani Pulite, lo intervistano e lo fanno arrestare. Con il direttore Paolo Mieli si prende subito. Ha idee, sa cazzeggiare ed esegue tutti gli ordini. Nel '94 diventa capocronista, posto che al "Corriere" vale una vicedirezione, poi vice caporedattore centrale. È il primo ad arrivare e spesso l'ultimo a uscire. Lo ricordano come un capo duro, quasi militaresco. Sfoga la tensione volando, colleziona brevetti di pilotaggio, anche quelli più complessi, ha una vera passione per gli idrovolanti.
Appena è possibile, il cranio dolicocefalo longobardo che brilla al tramonto, un po' Vate, un po' Saint Exupéry, decolla dal lago di Como tra cigni e montagne. Poi il "Gazzettino". La direzione di "
Ma la lotta tra i due quotidiani del centrodestra mostra la consistenza iconografica della profonda crisi del mondo berlusconiano. È l'evidenza della china incontrollabile: il masochismo del declino. Il 10 gennaio arriva la telefonata berlusconiana (è il fratello Paolo a chiamare). E la richiesta di attutire per ora gli ululati giornalistici, lasciando che la tela della politica, il lavorio di Gianni Letta, le aperture di Casini, i deputati tengo-famiglia quindi "responsabili" provino a far quadrare l'improbabile cerchio della maggioranza.
E i Sallusti d'Italia quando è il caso, e se fosse un film, sorseggiando un goccio di whisky, mettono senza problemi il silenziatore.
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