di Armando Spataro (*)
Le vicende politico-giudiziarie degli ultimi giorni – mi riferisco alla sentenza della Consulta che ha spazzato via il legittimo impedimento autocertificato e agli ultimi sviluppi del “caso Ruby” – hanno determinato alcune prevedibili reazioni politiche, ma anche sorprendenti commenti di pur autorevoli opinionisti che ripropongono sconcertanti e stantii luoghi comuni. Quanto alla sentenza del 13 gennaio, esponenti della maggioranza di governo e difensori del presidente del Consiglio si sono affannati nell’impossibile tentativo di dimostrare che sarebbe rimasto comunque in piedi l’impianto della legge sul legittimo impedimento. Il che non è.
I PUNTI inaccettabili di quella legge erano infatti due: il potere del presidente del Consiglio di autocertificare l’impedimento proprio e dei ministri a comparire innanzi all’Autorità giudiziaria e l’impossibilità del giudice di valutare la legittimità o meno dell’impedimento addotto. Entrambi questi aspetti della legge, già duramente criticati da giuristi di ogni estrazione, tra i quali non si può non citare il compianto prof. Grevi, sono stati spazzati via dalla Consulta. Ma – si dice da parte dei cultori del bicchiere mezzo pieno – è rimasta la possibilità di opporre al giudice, quale legittimo impedimento a comparire, attività “preparatorie, consequenziali e coessenziali” rispetto alle competenze del governo. Il che è sicuramente vero, sempre che – ha statuito
Passiamo ad altro tema, quello della tempistica dell’indagine milanese, il caso Ruby, che riguarda anche il presidente Berlusconi. È stato ancora evocato il tema trito e ritrito della giustizia ad orologeria. In particolare, sorprende leggere commenti come quelli pubblicati il 15 gennaio scorso su Il Sole 24 Ore e sul Corriere della Sera. Il fatto che giusto all'indomani della pronuncia della Consulta sul legittimo impedimento si siano conosciute le “contestazioni infamanti” nei confronti di Berlusconi ha indotto, da un lato, Stefano Folli ad affermare che ciò “...autorizza i soliti sospetti e lascia capire che il conflitto è salito di livello” e dall’altro Pierluigi Battista a parlare di “...uno zelo che autorizza ogni genere di malizioso accostamento temporale”.
Orbene, al di là del merito di quella specifica inchiesta, vorrei chiedere ad entrambi i citati opinionisti cosa avrebbero scritto se si fosse saputo di quella indagine il giorno prima della decisione della Consulta. Facile immaginare che i magistrati sarebbero stati accusati di volerla condizionare.
Ma vorrei anche sapere da Folli e Battista quanto tempo prima o quanto tempo dopo, rispetto a rilevanti eventi come la citata sentenza, i pubblici ministeri sarebbero a loro avviso legittimati ad acquisire prove e compiere atti d’indagine senza destare “i soliti e maliziosi sospetti”.
La mia opinione è evidentemente diversa da quella dei due giornalisti poiché penso che i tempi della politica non possano e non debbano influenzare in alcun modo quelli della giustizia. Lo impongono non solo il timore di una prevedibile paralisi della giustizia penale (specie ove si pensi alla frequenza di scadenze politiche ed eventi sconcertanti che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese negli ultimi decenni), ma anche e soprattutto due importanti principi che sono a base del nostro assetto costituzionale: l'obbligatorietà dell'azione penale e l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, resi possibili dall'indipendenza del Pm.
INFINE, non si può non far cenno alla rappresentazione che Folli e molti altri suoi colleghi giornalisti danno dell'azione della giustizia e delle reazioni politiche che essa determina: si parla ancora una volta di scontro epocale tra potere esecutivo (anzi "il premier") e la magistratura (anzi "le procure").
Come è noto, si tratta proprio della teoria della guerra mirata e politicamente motivata delle Procure contro il presidente Berlusconi che costituisce il cavallo di battaglia dello stesso premier, nonché dei suoi compagni di partito e alleati e che, riproposta all’infinito, finisce con l’influenzare e condizionare la pubblica opinione: persino il presidente dell’Anm sembra incorso in un equivoco lessicale, parlando, appunto, di “scontro”, mentre – semmai – siamo di fronte a un attacco che proviene da una parte sola. Dovrebbero servire da monito, allora, le parole del purtroppo defunto Lord Thomas H. Bingham of Cornhill, uno dei più autorevoli giuristi britannici: “Alcuni rappresentanti della stampa, dotati del dono della sobrietà, hanno parlato di guerra aperta tra governo e potere giudiziario. Questa, secondo me, non è un’analisi precisa. Ma è vero che esiste un’inevitabile e, a mio parere, assolutamente giusta tensione tra i due poteri. Esistono al mondo paesi in cui tutte le decisioni dei tribunali incontrano il favore del governo, ma non sono posti dove si desidererebbe vivere”. (The Rule of Law, 16 novembre 2006, Centre for Public Law)
(*) Procuratore della Repubblica aggiunto a Milano
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