martedì 11 gennaio 2011

La legge per tutti, l’impunità per il solito


La costituzionalista Lorenza Carlassarre spiega perché la norma viola il principio di uguaglianza: "Si vuole preservare il 'sereno svolgimento delle funzioni pubbliche' con la sospensione del dibattimento: di fatto qualcosa di incontrollabile"

La legge – scriveva Marsilio da Padova nel 1324 – non è parziale, “non è stata fatta per essere utile all’amico o nociva al nemico, ma in universale”, perciò il giudizio sul caso concreto che potrebbe essere ‘distorto’ da un sentimento di favore o sfavore verso la persona cui si rivolge, ne risulta invece ‘preservato’ quando il giudice o il governante è tenuto a pronunziarlo ‘secondo la legge’, eguale per tutti. Il discorso è ripreso quattro secoli dopo (1789) nel Documento base delle democrazie costituzionali, la ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’: la legge, espressione della volontà generale, “dev’essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca” (art. 6).
Il principio di eguaglianza è ora in tutte le Costituzioni democratiche. Con ragione, dunque, la Corte costituzionale nelle due sentenze sui ‘lodi’ (Schifani e Alfano) ha negato che l’esigenza di tutelare il “sereno svolgimento” delle funzioni pubbliche, “pur apprezzabile”, possa prevalere su valori fondamentali di ‘superiore livello’ come il principio della parità di trattamento di fronte alla giurisdizione che è alle “origini della formazione dello Stato di diritto” (sent. 24/2004 e 262/2009). Decisivo infatti è il livello che l’ordinamento attribuisce ai valori con i quali la norma sulla sospensione dei processi si scontra e il principio di eguaglianza sta al livello più alto. Applicandosi solo ai titolari delle alte cariche (per reati comuni anche precedenti), la norma è dunque “derogatoria rispetto al regime processuale comune” creando “un’evidente disparità di trattamento” rispetto a tutti gli altri cittadini che svolgono attività altrettanto impegnative e doverose.

La continuità fra la catena di leggi è chiara: di “sereno svolgimento” delle funzioni come giustificazione della sospensione dei processi si parla nella relazione alla legge del 2008, così come se ne parlava nel 2003 e nell’ultima legge (n. 51 del 2010) sulla quale la Corte costituzionale deve ora pronunziarsi.

È differente dalle precedenti? Può uscire indenne dal controllo di costituzionalità? A parte il nome diverso, ‘Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza’, la sostanza non cambia: costituisce infatti ‘legittimo impedimento’ non solo il concomitante esercizio dell’attività governativa, ma anche “delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo”. Un campo, dunque, amplissimo e assolutamente indefinito, praticamente incontrollabile. In base a una semplice attestazione della Presidenza del Consiglio che si tratta di un impedimento ‘continuativo’ il giudice è costretto a rinviare il processo, vale a dire a sospenderlo per sei mesi, senza poter controllare l’effettiva sussistenza di un impedimento assoluto, come prevede, per tutti, il codice di procedura civile (art. 420 ter).

Sono tre leggi con un unico scopo (anzi quattro, contando la legge costituzionale in cantiere): rendere di fatto improcessabile il presidente del Consiglio per tutti i reati comuni commessi anche prima dell’assunzione della carica. Alla faccia di Marsilio, anche questa è una legge ‘personale’, disposta proprio “per essere utile all’amico”; un amico il cui nome è noto. Lo conferma (se servisse) il fatto che la norma si applica “fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri”. Ossia fino all’entrata in vigore della quarta legge, in corso di approvazione, diretta al medesimo scopo: avremo persino una legge costituzionale ad personam? La costanza del governo è veramente ammirevole! Scontata l’incostituzionalità del ‘legittimo impedimento’ assoluto – era già ‘scritta’ nella sent. 262 del 2009 – quale può essere la prossima decisione della Corte? Esclusa l’assoluzione della legge, il giudizio potrebbe concludersi con una nuova dichiarazione di illegittimità per le stesse ragioni delle due leggi precedenti: il legittimo impedimento (che non consente prova contraria) non è di generale applicazione ma riguarda solo il premier e i ministri, “il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione” è ancora violato.

Possibile anche è una sentenza interpretativa di rigetto con la quale la Corte afferma che la legge non è incostituzionale soltanto ‘se’ intesa nel senso che il giudice possa accertare l’effettiva esistenza e consistenza del ‘legittimo impedimento’ invocato, così come può fare per qualunque imputato. Così interpretata la legge diverrebbe del tutto inutile, ormai inservibile come scudo. A condizione, naturalmente, che i giudici la applichino nel senso indicato dalla sentenza della Corte vincolante, a rigore, soltanto nei processi da cui è partita la questione di costituzionalità. Questo tipo di pronuncia, lasciando inalterato il testo legislativo, ha comunque un vantaggio: quello di non bloccare il referendum abrogativo chiesto sulla medesima legge che, superato il vaglio della Cassazione, certamente supererà in questi stessi giorni il controllo di ammissibilità della Corte costituzionale. Se la legge invece viene dichiarata illegittima il referendum non avrà più luogo, non serve più. Dopo la pronuncia della Corte, infatti, la norma incostituzionale non può più ricevere applicazione.

di Lorenza Carlassarre

da Il Fatto Quotidiano del 11 gennaio 2011

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