venerdì 21 gennaio 2011

La ricchezza non ci salverà


La Banca centrale europea è sempre più in difficoltà. La crescita dell'economia tedesca, più 3,6% nel 2010, consiglierebbe di porre fine a due anni di tassi di interesse straordinariamente bassi e tornare alla normalità. Invece le difficoltà dei Paesi della periferia impongono alla Bce di continuare a creare moneta: vuoi per sostenere quelle banche spagnole che non riescono più a finanziarsi sul mercato, vuoi acquistando titoli pubblici portoghesi, spagnoli, irlandesi, per evitare che un'asta vada male e si rischi un'insolvenza.

Con il trascorrere delle settimane il numero dei Paesi in difficoltà cresce: «A dicembre e agli inizi di gennaio - scriveva ieri la Bce - le tensioni sul debito sovrano non si sono manifestate solo in Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche in altri Paesi dell'area dell'euro quali Spagna, Italia e Belgio».
È giusto che la Bce continui a intervenire? Ciò che preoccupa non sono tanto gli acquisti di titoli pubblici (gli importi sono ancora relativamente modesti) ma il fatto che la banca non sia più nella possibilità di scegliere la politica monetaria che ritiene adatta alle condizioni macroeconomiche dell'eurozona.

I cittadini tedeschi hanno capito che la Bce non è la banca centrale della Germania, e che quindi deve tener conto delle condizioni medie della zona. Accettano che il rialzo dei tassi di interesse avvenga più gradualmente di quanto sarebbe desiderabile per il loro Paese. Ma non che la banca sia costretta ad abbandonare i suoi obiettivi per evitare il rischio che qualche Stato risulti insolvente. Il maggior pericolo che corre l'euro non è l'uscita della Grecia o del Portogallo dall'unione monetaria, ma la possibilità che se ne vada la Germania.

Per salvare l'euro è quindi necessario che la Bce sia sollevata da compiti che non le sono propri e gli aiuti agli Stati in difficoltà siano presi in carico direttamente dai governi.
Così facendo, tuttavia, i trasferimenti dalla Germania ai Paesi della periferia diverrebbero trasparenti. I contribuenti tedeschi giustamente chiedono delle garanzie, cioè vogliono essere rassicurati sul fatto che i debitori siano in grado di ripagare.

Ma non illudiamoci che per tranquillizzare la Germania basti sottoscrivere qualche nuova regola, un altro Patto di stabilità che tutti firmano per poi violarlo. Essere solventi significa una cosa molto semplice: crescere, perché un'economia che non si sviluppa non ha le risorse per pagare i propri debiti.

«Perché è tanto importante crescere?», si chiedono alcuni. Spagna e Italia cresceranno poco, ma sono Paesi ricchi, tra i più ricchi al mondo. La nostra ricchezza privata è la miglior garanzia del debito pubblico italiano.
Compiacersi della propria ricchezza è pericoloso. Di rendita si può vivere anche a lungo, ma impoverendosi.

Un mese fa il governatore Draghi ha ricordato uno scritto preveggente di Carlo Cipolla, I decenni del declino, 1620-1680, in Storia facile dell'economia italiana (Mondadori, 1995): «All'inizio del Seicento la ricchezza italiana era seconda solo all'Olanda. Tre generazioni più tardi l'Italia era un Paese sottosviluppato. Le cause: salari non coerenti con la produttività, un elevato carico fiscale e il potere delle corporazioni che bloccarono l'innovazione».

Francesco Giavazzi
21 gennaio 2011

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