FEDERICO GEREMICCA
Qualcuno gli ha chiesto di sgombrare il campo «per evitare al Paese ulteriore discredito internazionale». Qualcun altro lo ha invitato al passo indietro «per il suo stesso bene e per poter difendersi meglio». E c’è perfino chi lo ha sollecitato ad abbandonare Palazzo Chigi «per restituire l’onore a tutte le donne italiane». E’ vero: in alcuni casi, più che brusche richieste di dimissioni, quelle rivolte al premier sono apparse invocazioni, quasi preghiere.
Ma i numeri in Parlamento sono quelli che sono, e alcuni recentissimi rovesci nelle aule di Camera e Senato - per di più - fanno sì che le mosse delle opposizioni siano improntate, in queste ore, a un atteggiamento che si potrebbe definire di «aggressiva prudenza».
Si può naturalmente sorridere, di fronte a questo. Ed è certamente lecito dissentire. Ma la forzata prudenza cui sono inchiodate le opposizioni ha radici lontane - e motivazioni recenti - che non sarebbe corretto ignorare. L’azione del Pd, del Terzo polo e delle altre forze che avversano il governo è infatti frenata e condizionata da un pantano psicologico, strategico e politico evidente ormai da tempo: quanto meno dalla primavera scorsa, stagione della inattesa rottura tra Berlusconi e Fini.
A pesare, tanto per cominciare, c’è un dato psicologico (e in parte naturalmente politico) difficile da rimuovere: e cioè la convinzione che Berlusconi non sia vulnerabile sul piano giudiziario, a maggior ragione se le vicende contestategli riguardano «comportamenti privati» (deprecabili finché si vuole). Lo hanno già dimostrato almeno un paio di campagne elettorali e anche il responso di sondaggi successivi all’esplodere del primo caso-Ruby, hanno confermato una sorta di «indifferenza etica» degli elettori rispetto allo «stile di vita» del presidente del Consiglio. Una indifferenza che può certo non piacere (e che dovrebbe, anzi, allarmare) ma della quale occorre necessariamente tener conto.
Un peso non minore hanno, poi, le difficoltà politiche che attraversano - nessuna esclusa - tutte le forze di opposizione. Il «duro» Di Pietro è alle prese con le crescenti fibrillazioni seguite al passaggio di un paio di suoi deputati alla maggioranza di governo; la triade Fini-Casini-Rutelli è nel pieno di un faticoso lavoro di costruzione del cosiddetto Terzo polo, insidiato quasi quotidianamente dal rischio di nuove defezioni di parlamentari; il Pd, infine, resta preda dei suoi difficili problemi interni, acuiti dal sotterraneo lavorio di Nichi Vendola che continua a erodere consensi. E come se non bastasse, sull’opposizione intera pesa ancora l’indimenticabile sconfitta nel voto parlamentare del 14 dicembre, con l’inattesa bocciatura delle mozioni di sfiducia al governo.
Infine, il grumo di questioni strategiche o di prospettiva, che hanno condizionato e tutt’ora condizionano il fronte delle opposizioni. Il «che fare dopo» è la ragione, in fondo, che non ha permesso a Pd, Terzo polo e Idv di raggiungere almeno una intesa temporanea su ipotetici governi tecnici o di responsabilità, nei mesi roventi della rottura tra Fini e Berlusconi. L’idea di sostenere insieme al presidente della Camera un simile esecutivo ha scosso e sconcertato la base del Pd quasi quanto l’ipotesi di ritrovarsi alleati in campagna elettorale con l’ex segretario del Msi (e si può ipotizzare che analoghi imbarazzi determinerebbe tra gli elettori di Fli). L’Udc di Casini, del resto, non ha problemi minori nel far digerire al proprio elettorato l’accordo con Fini da una parte e Rutelli dall’altra; e analogo discorso si potrebbe fare a proposito dei partiti di Vendola e Di Pietro e della prospettiva di patti e alleanze col Terzo polo.
E’ evidente che di fronte a tutto questo un’avventura elettorale in tempi ravvicinati (ammesso che le opposizioni potessero determinarla: e non possono, come abbiamo visto) sarebbe assai rischiosa. Di qui l’«aggressiva prudenza» di cui si diceva all’inizio. Le dimissioni di Berlusconi sono chieste «ma senza che questo significhi elezioni anticipate»: ci si affida al Presidente della Repubblica ed alla sua richiesta di fare chiarezza in fretta. Una linea - una pretesa - certo comprensibile, ma che sa troppo del famoso desiderio di avere la botte piena e la moglie ubriaca. In un momento, per di più, in cui di vino ce ne è davvero poco, e di mogli (di donne) è forse meglio non parlare...
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