Esce oggi “L’assedio.
di Michele Ainis
Serve ancora alla Repubblica italiana un presidente della Repubblica italiana? Domanda impertinente, se non fosse che la politica ci ha recato in pasto un ultimo frutto avvelenato; e il veleno goccia a goccia intossica la nostra più alta istituzione. Perché scalfisce i suoi poteri, ne diminuisce il peso. Senza attacchi frontali, senza una lapidazione in piazza come sperimentarono Scalfaro e Cossiga. No, l’avvelenamento piuttosto si consuma svuotando il ruolo che ricoprì per primo Enrico De Nicola, sottoponendolo a un processo d’erosione, di neutralizzazione progressiva. Le prove? Potremmo elencarne una dozzina. Nel maggio 2007, per esempio, Romano Vaccarella si dimise da giudice della Corte costituzionale, sicché il Parlamento avrebbe dovuto immediatamente eleggere il suo successore. Invece ci ha messo un anno e mezzo, lasciando per tutto questo tempo una sedia vuota alla Consulta.
UNO SCANDALO istituzionale, che indusse Napolitano a un pubblico richiamo, dopo lo sciopero della sete inaugurato da Marco Pannella. Tuttavia lo scandalo era legato al fatto che maggioranza e opposizione volevano saziarsi entrambe, e allora temporeggiavano in attesa del doppio menu: sarebbe uscito dalla cucina nel febbraio 2009, con la scadenza del giudice Flick. A quel punto uno a te, uno a me.
Da qui il gioco delle coppie, perché il successo di ciascun candidato si legava al profilo di quello proposto dallo schieramento avverso: in questi casi un tecnico tira la volata a un tecnico, un uomo di partito s’accompagna giocoforza a un uomo di partito.
Niente di nuovo, la politica ci ha ormai resi avvezzi a questi mercatini. Peccato tuttavia che il successore di Flick non lo designasse il Parlamento, bensì il capo dello Stato.
Se i partiti ne contrattano la nomina, se i vari candidati fanno capriole e giravolte per ottenere la benedizione dei partiti, con ciò stesso oltraggiano le prerogative del nostro presidente.
Ma c’è qualcuno che ancora si rammenti del galateo istituzionale ? Nessuno, né a destra né a sinistra. Tanto che Napolitano infine perse la pazienza, e reagì con una nota pubblicata dalla Stampa (7 ottobre 2008).
Non è un oltraggio viceversa la proposta del centrodestra – anticipata nel 2008 da Ghedini – di dividere il Csm in due, sottraendone la presidenza al Quirinale. Non un oltraggio, ma un errore di grammatica (costituzionale).
Perché il presidente ha un ruolo di cerniera fra i diversi poteri dello Stato.
Perché presiedendo il Csm evita di conseguenza che la magistratura divenga un corpo separato.
Perché infine nel 1947 i Costituenti gli assegnarono il compito di moderare le tensioni fra politica e giustizia, e chissà come potrebbe mai provarci rimanendo fuori dalla porta.
Dice Ghedini: ma con l’assedio della nostra riforma, Napolitano nominerà un terzo dei futuri componenti. E allora? Pure il Consiglio supremo di difesa viene presieduto dal capo dello Stato, che però volta per volta ne decide altresì la composizione, invitando altri ministri in aggiunta a quanti vi fanno parte di diritto. Dovremmo perciò togliergli anche tale presidenza? Senza dire che la pressione dei partiti impedisce nomine serene.
MA FORSE il disegno sotterraneo è proprio questo: regaliamo pure al presidente un’altra nomina, purché per interposto partito.
C’è poi il capitolo dei decreti legge, dove l’abuso si è ormai trasformato in un sopruso. Una prepotenza contro il Parlamento, ma anche contro il presidente, cui vengono confiscati i poteri di controllo in sede di promulgazione. Infatti i decreti scadono dopo 60 giorni, le assemblee legislative li convertono sempre all’ultimo minuto, e dunque se il presidente rinviasse la legge di conversione al Parlamento provocherebbe la decadenza dei decreti, finendo alla berlina come traditore della Patria.
E allora come può reagire a quest’andazzo? L’unica è rendere pubblici i punti di dubbio e di dissenso, sia pure senza negare la sua firma alla legge che ratifica il decreto. Napolitano lo ha fatto per esempio in occasione della legge sulla Sicurezza (15 luglio 2009), scatenando un diluvio di reazioni.
Ma esiste la promulgazione con riserva? No, non esiste. Se il presidente ha qualche riserva sulla legge che dovrebbe promulgare, non ha che da rinviarla al Parlamento, imponendo un nuovo voto, e magari talune correzioni.
In altri termini, la riserva presidenziale si traduce nel rinvio, e dunque nel rifiuto di promulgazione. Infatti il rifiuto – a differenza del consenso – è sempre accompagnato da un messaggio motivato alle due Camere, come vuole l’art. 74 della Costituzione.
Significa perciò che in tali circostanze Napolitano ha usato in modo distorto i suoi poteri? La risposta è un altro no (...)i.
In primo luogo, le regole costituzionali hanno uno stampo diverso da quelle del codice stradale. Nella fattispecie l’automobilista è la politica, sicché la regola deve riflettere l’elasticità della politica, per calzarle come un guanto. Non per nulla negli ultimi anni si contano vari precedenti di promulgazioni accompagnate da una lettera presidenziale al governo e al Parlamento. È successo durante il settennato Ciampi, è successo in tre o quattro occasioni durante il mandato di Napolitano. Dunque la regola si è via via innervata d’una prassi che la rende meno rigida, meno perentoria. (...)
Nessun commento:
Posta un commento