martedì 25 gennaio 2011

TELECRAXI (SENZA TANGENTI)


In onda sul Tv7 di Minzolini l’“elogio del capro espiatorio”

di Marco Travaglio

Bettino Craxi come Antigone. Anzi, come l’Edipo di Sofocle. No, come Prometeo di Eschilo. O meglio: come Giobbe. Ma anche come Aldo Moro. E pure come l’adultera lapidata nel Vangelo e salvata da Gesù. Ma diciamola tutta: come il Cristo crocifisso. Così domenica sera Rai1 (direttore Mauro Mazza, ex Psi ora Pdl), ha voluto sobriamente celebrare l’ex premier pregiudicato e latitante con un memorabile “documentario” di Tv7 (direttore Augusto Minzolini) dal titolo “Craxi, elogio del capro espiatorio”.

QUESTO caso da manuale di “uso criminoso del servizio pubblico televisivo pagato coi soldi di tutti” porta la firma di tal Luca de Fusco, di professione regista socialista, che il mese scorso è stato nominato direttore del teatro Mercadante di Napoli in quanto – scrive Conchita Sannino su Repubblica – “vicino al presidente della Regione Stefano Caldoro e sponsorizzato da Gianni Letta”. Che cosa sappia di Craxi questo signore non è dato sapere, anzi è dato: chi ha avuto lo stomaco di seguire sino in fondo il suo “documentario”, s’è reso conto che non ne sa nulla.

PASSEGGIANDO tra le rovine di un antico teatro, De Fusco ha personalmente condotto il programma, con interviste a testimoni super partes come: Enzo Carra (1 anno e 4 mesi per falsa testimonianza), Paolo Cirino Pomicino (1 anno e 10 mesi per corruzione e finanziamento illecito), Gianni De Michelis (2 anni per corruzione e finanziamento illecito), Giulio Di Donato (3 anni e 4 mesi per corruzione) e Claudio Martelli (8 mesi per finanziamento illecito). Totale: 9 anni e 2 mesi di reclusione, senza contare i 10 anni collezionati da Craxi (corruzione e finanziamento illecito).

Fra un pregiudicato e l’altro, comunque, trovavano spazio anche alcuni incensurati, anch’essi super partes: Stefania Craxi, figlia; Luca Josi, ex leader dei Giovani socialisti; Claudio Petruccioli e Umberto Ranieri, ex comunisti convertiti al craxismo in tarda età; Marcello Sorgi, giornalista; e alcuni cosiddetti “filosofi e studiosi”.

Mancavano, forse per carenza di tempo, i fatti. Cioè le tangenti (mai nominate in un’ora di “documentario”). Il bottino di Bettino. I tre conti in Svizzera con sopra 40 miliardi. I prestanome,i cassieri,i quaranta e più ladroni, i nani e le ballerine.

Il De Fusco, tra una colonna e un capitello, attacca lacrimando sul “destino tragico e paradossale di Craxi” e citando la lettera di Napolitano alla vedova Craxi, che un anno fa – parole sue – “riabilitava in gran parte la figura di Craxi”, riconoscendo che “aveva pagato esageratamente le proprie eventuali colpe” (così definisce le sue condanne definitive per le mazzette della Metropolitana e di Eni-Sai, aggiungendo che quelle sentenze furono “contraddette da verdetti europei”, circostanza naturalmente falsa).

POI SI PARTE con Antigone di Sofocle che, come Craxi, “ammette di aver trasgredito alla legge”: nella fretta, il De Fusco non precisa che Craxi rubava, mentre Antigone seppellì il fratello morto contro un editto del re Creonte; e dimentica di aggiungere che Antigone si sottopone alla pena, pur ritenendola ingiusta, mentre Craxi fuggì all’estero. Ma qui interviene Sorgi per rivelarci che Craxi in Tunisia era “esule”. Anzi, chiosa De Fusco, “rifugiato politico”. Ma anche “vittima sacrificale”, “figura mitica”, “personaggio scomodo”, “leone in gabbia”, “eroe tragico”.

Meno male che ogni tanto parla Craxi, nei suoi tre discorsi alla Camera fra il 1992 e il ’93, quando ammise che la corruzione e la concussione avevano ormai assunto proporzioni da “allarme sociale”, anche se lo fece per ricattare l’intero Parlamento e precettarlo per un bel colpo di spugna salva-ladri.

“Grandi discorsi politici”, per quel che resta di Petruccioli. E anche “struggenti”, per il De Fusco.

All’autorevole Giuseppe Fornari, filosofo dell’Università di Bergamo, ricordano “l’episodio di Cristo e dell’adultera: ‘Chi è senza peccato scagli la prima pietra’…”. Infatti, s’infila De Fusco, anche lui dovette subire con le monetine in piazza “il rito simbolico della lapidazione, antico rituale sacrificale di religioni arcaiche proiettato nei tempi moderni”, mentre le fiaccolate popolari pro Mani Pulite sono “l’inizio del rogo della caccia alle streghe”.

A un’altra testa d’uovo ingaggiata dal De Fusco, il “filosofo ” professor Andrew J. McKenna della Loyola University di Chicago, l’adultera sembra poco: a lui Craxi ricorda direttamente Gesù. I processi per corruzione e le monetine in piazza gli evocano “la struttura della crocifissione: anche per Craxi, come per Cristo, dopo la morte tutti riconoscono che ‘era innocente’…” (in realtà persino un popolo smemorato come il nostro ricorda benissimo che era colpevole).

È IL MOMENTO di Giobbe: come Craxi, ad avviso del De Fusco, “anche il capo ebraico punito da Dio nella Bibbia” tentò invano il ritorno dall’esilio.

Senza dimenticare, si capisce, “Prometeo eroe tragico” con la sua “lucida rabbia da intellettuale” che Eschilo scrisse apposta, in previsione di Craxi.

Segue prova su strada: un’intervista di Bruno Vespa appecoronato ad Hammamet al cospetto dell’Esule, che spiega: “La legge sul finanziamento ai partiti era ipocrita e la violavano tutti da decenni” (peccato che l’avesse votata anche lui). Dopodiché, visti l’insetto e il cinghialone, la prima cosa che viene in mente è appunto la tragedia di Eschilo.

Fornari, da Bergamo, cita pure le lettere di Moro dalla prigione del popolo: anche Moro, come Craxi, “non fu creduto”, e pazienza se Moro scriveva la verità mentre Craxi raccontava un sacco di balle.

Ogni tanto parte qualche immagine di Piazzale Loreto, con Mussolini, la Petacci e i gerarchi appesi a testa in giù, perché anche il Duce, come Craxi, fu “un grande capro espiatorio”.

MA RIECCOCI a Sofocle: Craxi come Edipo a Colono, dove “i tebani cacciano il sovrano da vivo ma ne reclamano le spoglie da morto”. Anche in Italia, com’è noto, la gente non sta più nella pelle: “Gli italiani – giura il De Fusco – rivogliono le spoglie di Craxi”. Forse perché, come rivela la figlia Stefania, “Craxi è stato ucciso”. Scoop corredato da una foto di Borrelli, un filmato di Di Pietro e Colombo e un cartello: “D’Alema boia”. Casomai sfuggissero i nomi e i volti dei killer.

Petruccioli, all’epoca occhettiano, se la prende con Occhetto che non capì la grandezza di Craxi e uscì addirittura dal governo Ciampi quando la Camera assolse il corrotto (“quel giorno fu il suicidio della sinistra italiana”).

Ranieri, napoletaniano, è ancora inconsolabile a 18 anni di distanza: i compagni che contestarono Craxi dinanzi all’hotel Raphael furono “spietati e maramaldi” e gli lasciarono “grande dolore, tristezza e amarezza nel cuore”: dovevano ringraziarlo, invece, per come rubava bene.

C’è ancora tempo perché Sorgi riveli una sensazionale confidenza di Tony Blair, che gli svelò di ispirarsi a Craxi, ma (comprensibilmente) lo pregò di non dirlo a nessuno. Poi, sulla colonna sonora di viole e violini, passano i titoli di coda. In un’ora e più di “documentario” non s’è mai sentita una sola volta la parola “tangenti”. Eschilo, Sofocle, Giobbe e Gesù non volevano.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Craxi è stato condannato con sentenza passata in giudicato a:
5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai il 12 novembre 1996;
4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese il 20 aprile 1999.
Per tutti gli altri processi in cui era imputato (alcuni dei quali in secondo o in terzo grado di giudizio), è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato a causa del decesso dell'imputato.
Fino a quel momento Craxi era stato condannato a:
4 anni e una multa di 20 miliardi di lire in primo grado per il caso All Iberian il 13 luglio 1998, pena poi prescritta in appello il 26 ottobre 1999.
5 anni e 5 mesi in primo grado per tangenti Enel il 22 gennaio 1999;
5 anni e 9 mesi in appello per il conto protezione, sentenza poi annullata dalla Cassazione con rinvio il 15 giugno 1999;
3 anni in appello bis per il caso Enimont il 1º ottobre 1999;
Craxi fu anche rinviato a giudizio il 25 marzo 1998 per i fondi neri Montedison e il 30 novembre 1998 per i fondi neri Eni.
Le prove sulla base delle quali furono emesse le prime sentenze di condanna della vicenda giudiziaria di Craxi, secondo alcuni autori, si incaricheranno di smentire due dei suoi principali assunti difensivi. Il primo era quello secondo cui i reati erano stati compiuti solo per eludere le forme di pubblicità obbligatoria del finanziamento dei partiti, e non in contraccambio di atti amministrativi: in un caso (sentenza ENI-SAI) la sua condanna definitiva fu per corruzione, e non solo per finanziamento illecito di partito (ciò spiega l'insistenza dei suoi eredi nell'attaccare la procedura di quella sentenza dinanzi alla Corte di Strasburgo).
Il secondo era quello secondo cui i proventi dei reati contestatigli era destinato al partito e non a fini personali; varie sentenze - non passate in giudicato solo per il decesso dell'imputato - sostennero in motivazione che Craxi aveva utilizzato parte dei proventi delle tangenti (circa 50 miliardi di lire) per scopi personali (Finanziamento del canale televisivo GBR di proprietà della sua concubina Anja Pieroni, acquisto di immobili, affitto di una casa in Costa Azzurra per il figlio); durante le indagini (dopo un fallito tentativo di far rientrare tali proventi in Italia, bloccato dal nuovo segretario del Psi Ottaviano Del Turco) Craxi li versò sul conto di un prestanome, Maurizio Raggio.
La lettura di un uso privato dei fondi, ancora assai ricorrente, fu sostenuta da Vittorio Feltri all'epoca dei fatti, ma è stata dallo stesso abbandonata più di recente venendo così sostanzialmente a coincidere con quanto sempre sostenuto dai familiari circa l'esistenza di conti segreti ascrivibili al solo PSI. Distinguendo tra movente e comportamenti, uno dei giudici del pool anticorruzione di Milano, Gerardo D'Ambrosio, sostenne in proposito: «La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica»(WIKIPEDIA)
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