SARA NICOLI
Già pronto il legittimo impedimento per il 6 aprile: "Commemorazione vittime terremoto dell'Aquila". Ma la strada per Ghedini e Longo è stretta e questa volta ai legali di Berlusconi serve il miracolo
A caccia di legittimi impedimenti, seppur ordinari. E alla ricerca spasmodica di una strategia complessiva, che ancora non si trova e forse non c’è, che permetta la fuga al Cavaliere anche dal nuovo processo, possibilmente dopo aver “ucciso” definitivamente anche gli altri.
Comunque si giri, ora Berlusconi trova davanti a sé solo strade senza uscita, anche se il pool di avvocati – a partire da Ghedini, ma anche Alfano, che è ministro della Giustizia, ieri è stato molto presente e propositivo – ne ha veramente messe sul tavolo di ogni genere, anche le più ridicole e fantasiose durante l’ennesimo summit di guerra ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli. Idee volate in libertà, spesso prive di senso, ma che non è detto che poi non si trasformino in possibilità concrete di nuova evasione dal processo: la disperazione non conosce ridicolo.
Prendiamo la data di questa nuova, pesante, tegola processuale, il 6 aprile. Ecco, se passerà così com’è ora il decreto Milleproroghe, Berlusconi avrà il suo legittimo impedimento ordinario nuovo di zecca da poter sfoderare per saltare la prima udienza milanese. Il decreto, infatti, incorona quella data “giornata per la commemorazione delle vittime del terremoto de L’Aquila”; un appuntamento a cui “il capo del governo – avrebbe sostenuto Alfano – non potrà mai mancare”. Simili appuntamenti istituzionali, ma anche questioni private legate alla salute, saranno disseminate dai legali lungo il tragitto che dal 28 di febbraio fino all’11 marzo dovrebbero vedere Berlusconi almeno tre volte alla sbarra (si parte con il processo Mediaset per poi passare al Mediatrade fino al Mills) per evitargli in ogni modo la gogna non solo giudiziaria, ma soprattutto mediatica; una strategia dal fiato corto, a cui si unirà senz’altro quella di controffensiva che i legali del Caimano, Longo e Ghedini, metteranno in atto in aula, ma sempre con l’idea di procrastinare i tempi di un’eventuale condanna. Cominciando, per esempio, con il contestare la “violazione di procedure e leggi da parte della Procura di Milano”, arrivando poi anche alla possibile contestazione della correttezza dell’operato del Gip, perché non sussisterebbe l’evidenza della prova e quindi il rito immediato non si poteva chiedere, fino a chiudere con l’eventuale ricusazione di un collegio giudicante tutto al femminile perché “dopo un milione di donne in piazza – ha sostenuto sfrontatamente l’avvocato Pecorella – sono di sicuro pregiudizialmente contrarie all’imputato”. Roba da far tremare i polsi e tuttavia “pannicelli caldi”, come direbbe ancora Andreotti, sul fronte di una strategia di difesa organica e sulla lunga distanza.
“E comunque – ha detto ieri sera Ghedini – è chiaro che a Milano ci aspettiamo di tutto e che non c’è l’evidenza della prova, anzi il contrario, e che la competenza funzionale è del Tribunale dei ministri e quella territoriale, casomai, di Monza”.
Non finisce qui. Si sa, per esempio, che Ghedini contesterà pesantemente che Ruby fosse davvero minorenne al momento del primo incontro con Silvio, per il fatto che non si avrebbe certezza della vera età della ragazza. In Marocco pare che gli uffici dell’anagrafe non funzionino a dovere e qualcuno è stato mandato a controllare. Una strategia che si muoverebbe in parallelo con la tattica parlamentare, lanciata anche questa volta da Ghedini, supportato da Alfano, di far lavorare d’ora in poi a marce forzate la commissione Giustizia (dove, nonostante
Il tutto condito con un processo breve che, a questo punto, diventa fondamentale approvare rapidamente per evitare a Berlusconi almeno la condanna (pressochè sicura in primo grado) nel processo Mills. Ecco, tante idee, alcune delle quali si trasformeranno in verità processuali, secondo la difesa, né più e né meno di come la fandonia di Ruby “nipote di Mubarak” è diventata una verità certificata da un voto parlamentare.
Appunto, il Parlamento. Mentre gli avvocati si arrampicano sugli specchi, con grande scorno (e forte preoccupazione) del Quirinale, Gasparri e Quagliariello, capigruppo Pdl, ieri sera hanno parlato a lungo con Berlusconi della questione del conflitto di attribuzione. È stato appurato che qualora un deputato, per conto del premier, volesse sollevare il conflitto davanti alla Corte costituzionale, dovrebbe per forza passare dall’ufficio di presidenza dove il Pdl non ha la maggioranza. E solo in caso di approvazione, quasi impossibile, l’aula comincerà poi l’iter per appellarsi alla Corte, ma comunque il processo Ruby non si fermerebbe, anche se fosse Palazzo Chigi a muoversi in prima persona al posto della Camera. Insomma, un vicolo cieco, sia per la difesa processuale che parlamentare. E se stavolta, davvero, il Caimano fosse spalle al muro?
Da Il Fatto Quotidiano del 16 febbraio 2011
1 commento:
E' CON LE SPALLE AL MURO.
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