LUCA TELESE
Berlusconi nel bunker. Anche questa mattina ha evitato domande sul rinvio a giudizio.
L’incarnato pallido e la mascella serrata. Ma soprattutto gli occhi, fessurati come due feritoie, davvero quelli di un caimano. Rinvio a giudizio. Prostituzione minorile. Concussione. Non sapremo mai di cosa avrebbe parlato Silvio Berlusconi nella sua conferenza stampa a Catania, ieri mattina. Appena arriva la notizia il premier cancella tutto, con un colpo di spugna, e precipita nel primo black out informativo degli ultimi diciassette anni di biografia politica. Un black out che, di fatto, è continuato anche questa mattina nella conferenza stampa sull’accordo post moratoria per le piccole e medie imprese, alla quale il premier ha partecipato insieme al ministro Giulio Tremonti. Al momento delle domande si è subito creato imbarazzo con i giornalisti. Berlusconi ha chiesto “domande a tema” e ha bollato come “birichino” un giornalista che gli stava chiedendo: “Si è lamentato della lunghezza del processo civile, però quelli penali vanno in fretta…”. Poi ha aggiunto: “Per amor di patria di questo non parlo: posso solo dire che non sono per niente preoccupato”. E un metodo ancora più sicuro sarà adottato oggi pomeriggio per l’incontro con il presidente russo Dmitri Medvedev: i giornalisti saranno confinati in una sala diversa rispetto a quella con i due presidenti. E li potranno seguire solo in videoconferenza.
Non una parola, insomma, esattamente come ieri. Colloqui, telefonate, il problema di trovarsi di fronte a un bivio che apre tre possibili esiti. Ma che non offre vie di ritirata sicure. La tenaglia si stringe intorno a lui e il calendario si complica: il processo Ruby partirà immediatamente, con il suo calvario di testimonianze e il dilemma se andare o meno in aula, se intentare il conflitto di attribuzione che può sospendere la sentenza (massimo per un anno), ma non può differire il calvario mediatico e giudiziario, in nessun caso. E poi c’è l’allarme più drammatico che lancia Niccolò Ghedini. Già a settembre – se non si fa subito una legge che cambi le regole sul processo breve – arriverà la condanna per il caso Mills. Prostituzione minorile e anche corruzione. Gli occhi come due fessure, passi in circolo, come un leone in gabbia.
Sì, è vero: nell’ultimo ufficio politico del Pdl la possibilità del rinvio a giudizio era stata discussa, la settimana scorsa. Ma poi quando arrivano i titoli, la stampa internazionale e la bomba atomica dell’opinione pubblica tutto cambia. Fino a ieri, nei salotti tv, un buon pretoriano azzurro poteva dire: “Il premier non ha avuto una sola condanna”. A quel punto toccava agli oppositori chiarire che il governo aveva cambiato le leggi e sfruttato le prescrizioni con le leggi Ad personam. Mentre adesso il vento cambia: “Berlusconi è rinviato a giudizio per prostituzione minorile e concussione”. La cosa difficile da spiegare, d’ora in poi, saranno i ma. All’estero è addirittura impossibile. E infatti il calendario della diplomazia internazionale è stato azzerato da tempo. Oggi la fortuna vuole che a Roma, appunto, ci sia Medvedev, che potrebbe chiudere un occhio e comportarsi da “amico”. Ma che dolore vedere sul televisore di Palazzo Grazioli il servizio di sei minuti di Sky con la notizia del rinvio a giudizio che viene riverberata in tutte le televisioni del mondo. Daniela Santanchè, una delle consigliere più ascoltate in questo momento, ieri ha incontrato Berlusconi due volte. Dicono che sia lei la sostenitrice più accanita della prima strada, quella che viene scelta in queste ore: “Non ti dimettere, Silvio. Non fare nemmeno un passo indietro. Adesso alla Camera abbiamo una maggioranza blindata – spiega la pasionaria – cambiamo la legge sul processo breve e continui a governare”. Sì, è vero: gli occhi sono serrati, la mascella stretta. E tutti i maggiorenti del Pdl, da Fabrizio Cicchitto a Maurizio Gasparri si sono detti d’accordo con la strategia della trincea.
Eppure… Eppure, anche se nessuno apertamente deflette dalla linea lotta-dura-senza-paura, ti raccontano che Gianni Letta abbia fatto una ipotesi di scuola alternativo: usare la maggioranza per eleggere un premier fidato che gestisca le elezioni (Angelino Alfano, o lo stesso sottosegretario) ed evitare così il dramma di immagine di un premier messo alla graticola delle testimonianze nel processo. Infine c’è una terza possibilità, che si può esplorare in questo scenario: l’arrocco. È un’idea che continua ad affacciarsi come tentazione estrema, nella testa del Cavaliere: far scendere in campo la figlia Marina, accompagnare la sua campagna elettorale, comizio per comizio, e far reinvestire il centrodestra da un mandato elettorale pieno prima che possa arrivare qualsiasi sentenza. Una mossa che potrebbe diventare l’unica possibile se
E allora il grido di battaglia di ieri di Berlusconi, nelle ricostruzioni di chi ci ha parlato, era: “È una montatura infame. Solo un voto di sfiducia può farmi cadere, non quattro magistrati politicizzati che vogliono sovvertire il voto popolare”. Ma se l’analisi è davvero così chiara perché non parlare ufficialmente, ieri? Perché osservare un giorno di silenzio, il primo in questi anni, senza concedere nemmeno una parola ad uso dei tg? Perché la decisione è difficile, e perché il Cavaliere è stato blindato. “Berlusconi non deve dimettersi – gridava Cicchitto – perché questo giudizio è solo un modo per cercare di farlo cadere per via giudiziaria dopo che l’assedio politico in Parlamento è miseramente fallito”. Eppure, anche se tutto questo è voluto da Berlusconi, questa volta il passo va calibrato con misura, perché la scelta di una opzione, comporta l’abbandono di tutte le altre alternative.
Questa volta non c’è ritorno. Qualcuno, come l’ultrà Giancarlo Lenher adombrava scenari di guerra: “Ho testè allertato i sostenitori di Nuova Forza Italia – diceva ieri il deputato azzurro – chiedendogli di essere i nuovi Arditi del Popolo, l’unica organizzazione che intese davvero fronteggiare le squadracce fasciste”. Il sei aprile, ululava ieri il ministro Giorgia Meloni “Va sotto processo la democrazia”. Ma adesso tutto si fa maledettamente più difficile, gli occhi fessurati cercano di mettere a fuoco la via di uscita dal tunnel e la luce non si vede. Adesso si naviga a vista. La linea di ieri era non mollare, a nessun costo. Ma in quel silenzio c’è la traccia del dubbio che precede tutte le scelte senza ritorno.
Da Il Fatto Quotidiano del 16 febbraio 2011 – articolo aggiornato dalla redazione web alle 13.45
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