

di FRANCESCO BEI e LIANA MILELLA
Blindato a palazzo Grazioli con i suoi avvocati, l'orecchio a terra per captare i rumors di nuove intercettazioni in arrivo dalla procura di Napoli, Silvio Berlusconi è un vulcano pronto a esplodere. "Quei pm milanesi - ha tuonato ieri con un ministro - si sarebbero già dovuti fermare, stanno calpestando ogni regola pur di darmi addosso". Ripete a tutti di essere "innocente", proclama la sua fiducia nei sondaggi: "Gli italiani hanno capito benissimo e sono con me". E tuttavia, come gli hanno ripetuto anche ieri Ghedini e Alfano, al momento il premier non dispone di alcuna arma per fermare i suoi magistrati.
Berlusconi è "indignato" per l'atto compiuto dalla procura di Milano, che ha stralciato la sua posizione da quella degli altri protagonisti delle feste di Arcore per andare subito al processo. "Si sono messi sotto i piedi un voto preciso della Camera dei deputati", protesta il Cavaliere pensando alla deliberazione con cui Montecitorio ha respinto la richiesta dei pm di perquisire l'ufficio di Spinelli, il suo cassiere personale. Con quella votazione la maggioranza di governo dichiarava infatti "l'incompetenza" della procura di Milano a favore invece del Tribunale dei ministri. Gli avvocati del premier sono pronti al contropiede, convinti che i pubblici ministeri, "infischiandosene del Parlamento", abbiano condannato l'intero procedimento alla "nullità". Studiando le carte hanno scovato il precedente delle Sezioni unite della Cassazione, che annullarono il processo De Lorenzo proprio per lo stesso motivo. Ma la futura "nullità" non ferma la macchina del processo come pretenderebbe invece Berlusconi.
Anzi, la mossa della procura, quello sdoppiamento del destino di Berlusconi dalla Minetti&Co, visto da palazzo Grazioli espone il Cavaliere a un rischio in più. Nel Pdl lo chiamano "effetto Mills", richiamando la condanna dell'avvocato inglese che ha riverberato i suoi effetti anche sull'imputato principale di quel processo, il presunto corruttore. In sostanza, il dibattimento contro Fede, Mora e Minetti andrà comunque avanti, con la sua sfilata di testi e l'imbarazzante mole di intercettazioni e interrogatori. E un'eventuale condanna si abbatterebbe anche sul presunto utilizzatore finale dei loro servigi. Il premier insomma si sente in trappola, ormai non può sfuggire dal processo di Milano. Ogni soluzione infatti, a partire da qualsiasi ipotesi di legge ad personam, prevede tempi troppo lunghi. L'ultimo appiglio è scatenare una guerra alla Consulta, sollevando un conflitto di attribuzione per scippare a Milano la competenza a giudicarlo. Certo, il governo potrebbe utilizzare l'avvocatura dello Stato. Ma la strada più efficace sarebbe quella di coinvolgere nuovamentela Camera dei deputati. Ed è proprio questa la strategia che hanno in mente i vertici del Pdl, nonostante la perplessità di Ghedini e Longo. Il problema è che Berlusconi si troverà a passare per le Termopili presidiate dal suo arcinemico Gianfranco Fini.
Per arrivare a una decisione sul conflitto è prevista infatti una procedura complessa: gli avvocati del premier devono scrivere al presidente della Camera e questi, a sua volta, deve chiedere un parere alla giunta per le autorizzazioni. Ma se anche la giunta, controllata dal Pdl, si esprimesse a favore del conflitto d'attribuzione, dovrà essere comunque l'ufficio di presidenza a dire l'ultima parola. E in quell'organismo, composto da 19 membri, la maggioranza può contare solo su otto voti a fronte dei dieci dell'opposizione. Una situazione che non cambierebbe dunque nemmeno dopo la prevista elezione di un membro dei Responsabili.
In una situazione di emergenza, con il timore di "una nuova ondata di fango" in arrivo (da Milano ma soprattutto da Napoli), il premier è convinto almeno di poter contare sulla solidità dell'asse del Nord. Una fedeltà, quella di Bossi al Cavaliere, ribadita anche lunedì scorso alla cena di Arcore. "Qualsiasi cosa stia per uscire, qualsiasi cosa accada con i giudici - gli ha garantito il Senatùr - , noi resteremo al tuo fianco".
Berlusconi è "indignato" per l'atto compiuto dalla procura di Milano, che ha stralciato la sua posizione da quella degli altri protagonisti delle feste di Arcore per andare subito al processo. "Si sono messi sotto i piedi un voto preciso della Camera dei deputati", protesta il Cavaliere pensando alla deliberazione con cui Montecitorio ha respinto la richiesta dei pm di perquisire l'ufficio di Spinelli, il suo cassiere personale. Con quella votazione la maggioranza di governo dichiarava infatti "l'incompetenza" della procura di Milano a favore invece del Tribunale dei ministri. Gli avvocati del premier sono pronti al contropiede, convinti che i pubblici ministeri, "infischiandosene del Parlamento", abbiano condannato l'intero procedimento alla "nullità". Studiando le carte hanno scovato il precedente delle Sezioni unite della Cassazione, che annullarono il processo De Lorenzo proprio per lo stesso motivo. Ma la futura "nullità" non ferma la macchina del processo come pretenderebbe invece Berlusconi.
Anzi, la mossa della procura, quello sdoppiamento del destino di Berlusconi dalla Minetti&Co, visto da palazzo Grazioli espone il Cavaliere a un rischio in più. Nel Pdl lo chiamano "effetto Mills", richiamando la condanna dell'avvocato inglese che ha riverberato i suoi effetti anche sull'imputato principale di quel processo, il presunto corruttore. In sostanza, il dibattimento contro Fede, Mora e Minetti andrà comunque avanti, con la sua sfilata di testi e l'imbarazzante mole di intercettazioni e interrogatori. E un'eventuale condanna si abbatterebbe anche sul presunto utilizzatore finale dei loro servigi. Il premier insomma si sente in trappola, ormai non può sfuggire dal processo di Milano. Ogni soluzione infatti, a partire da qualsiasi ipotesi di legge ad personam, prevede tempi troppo lunghi. L'ultimo appiglio è scatenare una guerra alla Consulta, sollevando un conflitto di attribuzione per scippare a Milano la competenza a giudicarlo. Certo, il governo potrebbe utilizzare l'avvocatura dello Stato. Ma la strada più efficace sarebbe quella di coinvolgere nuovamente
Per arrivare a una decisione sul conflitto è prevista infatti una procedura complessa: gli avvocati del premier devono scrivere al presidente della Camera e questi, a sua volta, deve chiedere un parere alla giunta per le autorizzazioni. Ma se anche la giunta, controllata dal Pdl, si esprimesse a favore del conflitto d'attribuzione, dovrà essere comunque l'ufficio di presidenza a dire l'ultima parola. E in quell'organismo, composto da 19 membri, la maggioranza può contare solo su otto voti a fronte dei dieci dell'opposizione. Una situazione che non cambierebbe dunque nemmeno dopo la prevista elezione di un membro dei Responsabili.
In una situazione di emergenza, con il timore di "una nuova ondata di fango" in arrivo (da Milano ma soprattutto da Napoli), il premier è convinto almeno di poter contare sulla solidità dell'asse del Nord. Una fedeltà, quella di Bossi al Cavaliere, ribadita anche lunedì scorso alla cena di Arcore. "Qualsiasi cosa stia per uscire, qualsiasi cosa accada con i giudici - gli ha garantito il Senatùr - , noi resteremo al tuo fianco".
(09 febbraio 2011)

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