giovedì 17 febbraio 2011

Il Millefavori incassa la fiducia del Senato ma rischia a Montecitorio


NEL DECRETO MILLEPROROGHE REGALI AD AMICI E MINISTRI

di Marco Palombi

Adesso arriva il bello. Il Milleproroghe sbarca nella giungla della Camera, dove il percorso del decreto non sarà certo la passeggiata in carrozza di Palazzo Madama (alcune delle cose più sgradevoli che contiene le trovate in questa pagina). La spiegazione è un po’ tecnica ma necessaria. Il centrodestra, nonostante i Responsabili, non ha ancora la maggioranza in molte commissioni: quelle che si occupano di questo testo – praticamente l’unico provvedimento di spesa all’esame del Parlamento in queste settimane – sono congiuntamente la prima e la quinta, Affari costituzionali e Bilancio. Ecco, in queste due il pallottoliere dice 49 deputati per l’opposizione e 48 per Pdl, Lega e “scilipotiani”.

Fiducia a peso d’oro

IN MEZZO, sta Karl Zeller della Svp: ovviamente, dopo lo Stelvio concesso per l’astensione sulla fiducia a dicembre, pure stavolta i sudtirolesi tratteranno il loro voto a peso d’oro. Andasse così, maggioranza e opposizione sarebbero 49 pari: basterebbe dunque un’assenza, una febbretta traditrice, una disattenzione del centrodestra e l’opposizione riuscirebbe a modificare il testo. E allora? Dirà il lettore. Il fatto è che questo Milleproroghe decade domenica 27 febbraio (i decreti devono essere convertiti in legge entro sessanta giorni) e sarà molto difficile riuscire a tornare in Senato per una lettura “conforme” in tempo: l’aula di Montecitorio,infatti, è convocata per l’inizio della discussione generale martedì 22 febbraio. Certo, il governo potrebbe prescindere da ciò che accade nelle commissioni e ripresentare all’assemblea un maxi-emendamento identico a quello del Senato chiedendo di nuovo la fiducia: una prassi abbastanza lunga, però, prevede che la questione di fiducia si ponga sul testo uscito dalle commissioni. Non a caso ieri Dario Franceschini ha messo le mani avanti: “Se si metterà la fiducia, non potrà che essere sul testo della commissione o saranno violate tutte le nostre regole”. Il Pd, insomma, ha intenzione di giocarsela: “Presenteremo i nostri emendamenti, probabilmente non moltissimi, e se il decreto dovesse decadere tanto meglio: è pieno di tanti di quegli orrori che sarebbe solo un bene”, spiega Pier Paolo Baretta, capogruppo democratico in V commissione.

Oltre a pregare e sperare, però, il centrodestra ragiona attorno a una soluzione di pura ingegneria parlamentare: Fabrizio Cicchitto sta cercando di convincere qualche peones del Pdl a trasferirsi tra i Responsabili (dopo Mario Pepe e Vincenzo D’Anna, che hanno consentito la creazione del gruppo). Motivo? Se dagli attuali 21 membri il rassemblement guidato per ora dal sudista Sardelli passasse a 29 potrebbe ottenere due o tre posti in più nelle commissioni, da giocarsi ovviamente là dove serve, in primo luogo nella Bilancio. Il tutto, come si vede, al netto di nuovi eventuali “acquisti” alla causa della sopravvivenza politica di Silvio Berlusconi. Paradossalmente, però, proprio sul Milleproroghe il Cavaliere ha visto crescere i suoi consensi in Senato, grazie alla spettacolosa spaccatura del gruppo di Futuro e Libertà nel voto di fiducia di ieri mattina.

Futuro e libertà spaccato

IL MAXI-EMENDAMENTO del governo è infatti passato nell’aula di Palazzo Madama con 158 sì, 136 no e 4 astenuti. Non che il risultato fosse in dubbio, visto che nella Camera alta i numeri per il Cavaliere sono ancora buoni, ma il dato politico è che all’annuncio del voto contrario alla fiducia del capogruppo Fli Pasquale Viespoli siano seguiti solo 4 no effettivi (Baldassarri, Saia, Valditara e lo stesso Viespoli): il senatore Pontone si è astenuto e altri cinque erano assenti. Insomma proprio su questo decreto Gianfranco Fini rischia di perdere il suo gruppo in Senato, essendo 10 il numero minimo per averne uno: “Il gruppo esiste, ma non so fino a quanto”, ha messo a verbale uno dei reprobi, Giuseppe Menardi, che martedì sera è stato ricevuto a Palazzo Grazioli da Berlusconi. Ora, comunque, c’è la guerriglia parlamentare alla Camera: il Cavaliere telefona e promette per arrivare alla famosa quota 325 deputati che gli consentirebbe di strappare un’altra proroga oltre a queste mille, la sua.

Nessun commento: